Recensione di Cronache Dalle Terre Di Scarciafratta – Remo Rapino

Recensione di Cronache Dalle Terre Di Scarciafratta – Remo Rapino

Cronache Dalle Terre Di Scarciafratta, una citazione:

“Quelli dicono, ridendo, che non si può scrivere a un paese, che non si può scrivere ai morti, che sono mezzo matto, che non parlo con nessuno, a parte la luna. Io invece ci parlo con la luna e i morti, i miei e quelli degli altri.”

Cronache Dalle Terre Di Scarciafratta è un titolo che mi riecheggia in testa come le “Cronache della galassia” di Asimov.

L’assonanza non è casuale, perché entrambi i libri ci parlano da un altro mondo.

Ma, suggestioni a parte, il centro narrativo del racconto è un paesino.

Scarciafratta è una Macondo d’Abruzzo. Inerpicata tra i crinali dell’Appennino, è un teatro di fantasmi e di visioni.

Un terribile terremoto, la Cosa Brutta, l’ha svuotata. Le case sono ridotte a pietre che rotolano e si sfarinano, ma continuano a parlare. 

Sulla Rocca resiste per anni soltanto un uomo, Mengo, seduto su un uscio sotto un cencio di luna insieme a Sciambricò, un vecchio cane pastore dagli occhi chiari.

Scavando tra le macerie della scuola ha trovato i quaderni dei bambini, e anche un registro dell’Ufficio anagrafe che un impiegato aveva riempito di nomi, date, nascite, morti e sposalizi, di tutte le storie perdute del paese.

Alla fine della sua vita, per “ridare voce a quelli sommersi dalla morte”, Mengo le trascriverà una per una, a Villa Adriatica, la casa di riposo dove viene ricoverato. 

Fino all’alba del 21 luglio 1969, quando Neil Armstrong e Edwin Aldrin sbarcano sulla luna, mentre lui termina di scrivere l’ultima lettera.  

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Proseguendo lungo il sentiero inaugurato da Recensione di Vita, Morte E Miracoli Di Bonfiglio Liborio – Remo Rapino, già premio Campiello 2020, in Cronache Dalle Terre Di Scarciafratta Remo Rapino continua a raccontarci l’epopea degli ultimi, degli «spasulati», dei matti della sua regione.

Rapino ci regala un’elegia sulla memoria e sulla “scordanza”. Il passato e il presente diventano il flusso di un’unica narrazione.

Un racconto corale per restituire la dignità di un nome a chi è stato derubato anche del ricordo. 

Scarciafratta è una voce flebile di una geografia ormai muta. Dei nomi e delle vite che hanno le forme della neve che poi svanisce nel calore del sole. Di nomi abitati da sentimenti, allegri e tristi, da storie finite o mai cominciate.

I nomi sono ombre, le voci sono anime.

È l’assenza il fulcro della vita di Mengo, che da sempre ha avuto due passioni: “le persone che vanno via e le pietre che muoiono. Che poi sono la stessa cosa”.

Cronache Dalle Terre Di Scarciafratta è un j’accuse poetico alla nostra modernità che esorcizza la morte e, soprattutto, la marginalità sia esistenziale (i vecchi, i matti, i poveri) che geografica (paesini e borghi, tutto ciò che è periferico rispetto alle metropoli).

Siamo un popolo che ha reciso il suo legame arcaico con la terra, con i saperi antichi e con una dimensione ultima della vita umana, scandita dai tempi lenti delle stagioni e degli affetti profondi.

Bisogna reimparare a giocare con la vita. Apprezzarne le piccole cose, perché la morte prima o poi arriva. Ricordare che i racconti aiutano a sopportare il peso delle nuvole.

Bisogna avviare una rivoluzione minima, gentile: tornare ad ascoltare le voci, anche le più lontane. Sono le nostre radici. Che ci ricordano chi siamo, e da dove veniamo.

CRONACHE DALLE TERRE DI SCARCIAFRATTA – MINIMUM FAX – 2021

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