I Sentieri Della Meditazione – Intervista Dejanira Bada


dejanira bada

Dejanira Bada, dopo aver letto e recensito il suo “I sentieri della meditazione” (nostra recensione QUI), ci concede un’intervista per ampliare gli argomenti tratti nel suo libro.

Quando hai iniziato a percepire lo scorrere inesorabile del tempo?

Adesso, a quarant’anni. Ho scoperto che la crisi di mezz’età arriva a quaranta e non a cinquanta come si pensava, ed è vero. Per la prima volta sento di avere meno tempo. Quando si è bambini non ci si fa caso, la morte non esiste; durante l’adolescenza il tempo sembra insopportabilmente lungo e chi se l’è vissuta male (come nel mio caso), non vede l’ora di diventare grande e che tutto finisca.

Ma poi ecco l’età adulta, anche se fino ai trenta, trentacinque anni ci si sente ancora molto giovani. E all’improvviso eccoci qui, a quaranta, e non sono mai stata meglio in vita mia, perché ho vissuto come volevo vivere, ogni attimo, e se me ne dovessi andare oggi sarei felice. Tutto quello che verrà sarà un di più. E mi auguro di non vivere troppo a lungo. Non mi interessa arrivare a ottant’anni e magari pure chiusa in una RSA. Non si tratta di tempo, ma di qualità.

Chi ha paura di morire ha paura di non aver vissuto come sognava, non della morte in sé.

E ad avere consapevolezza di te? 

Ho fatto un lavoro con la mia ex psicologa, specializzata in EMDR, che mi ha portato a entrare in contatto con le mie parti interiori. Ne ho ritrovate parecchie… sono dovuta diventare consapevole molto presto, ne avevo bisogno, era necessario, per via della famiglia che ho avuto. C’è una parte che ho chiamato “Piccolo Buddha” che va da 0 a 1 anno. Ecco, credo che quella parte fosse già molto consapevole.

Di cosa ha bisogno una persona per amare sé stessa?

Dipende. C’è chi è cresciuto in famiglie amorevoli e ha imparato a volersi bene e ad amare fin da subito. C’è chi è cresciuto in famiglie disfunzionali e non ha potuto imparare che cosa sia l’amore.

A certi viene naturale, per altri è un’impresa quasi impossibile. Ma ci si può lavorare, si può imparare ad amarsi, per fortuna. Come? Serve una grande elaborazione del proprio passato. Serve accettazione e conoscenza di sé, soprattutto per chi ha vissuto situazioni difficili. È un percorso lungo e complicato imparare ad amarsi, per nulla scontato, sono necessarie molta forza e determinazione. Ma una volta che ci si riesce, tutto cambia, tutto acquisisce una luce nuova e la vita diventa degna di essere vissuta, soprattutto perché, di conseguenza, s’imparerà ad amare, ed è questo quello che conta.

Come ti sei avvicinata alla mindfulness? 

Ero (e sono) una grande rockettara. Fino ai ventisette anni non ne ho voluto sapere di yoga e roba simile. Usavo la birra per “stare bene”! Poi ho smesso di bere per motivi fisici e psicologici, e un amico, nel 2012, mi ha invitato a provare una lezione di Hatha Yoga per gestire il mio malessere (oltre ad andare dallo psicologo). Da quel giorno è scattato l’amore. Ho praticato per tanti anni, e poi mi sono talmente appassionata da volerne sapere ancora di più. Così mi sono iscritta a un corso di formazione. Ma non era ancora abbastanza.

Ho iniziato a studiare i testi antichi e poi, anni dopo, ho cominciato a insegnare, perché stavo talmente bene da voler condividere questo immenso tesoro che è la pratica. Però cercavo un approccio laico, e quando ho incontrato la Mindfulness, ho trovato quello che stavo cercando.

Successivamente ho deciso di diventare istruttrice. Oggi insegno mindfulness, yoga e il Protocollo MBSR per la riduzione dello stress. Sono anche una giornalista da più di vent’anni e faccio divulgazione sull’argomento con libri e articoli.

Cosa fa la mindfulness? 

Mindfulness arriva dalla parola “sati”, che nel buddhismo, in lingua pali, vuol dire consapevolezza, ricordo di sé. È un’attitudine che si può imparare a coltivare grazie alla pratica della meditazione.

Fu il biologo statunitense Jon Kabat-Zinn, negli anni ‘80, a istituire un programma ufficiale di riduzione dello stress basato sulla consapevolezza all’interno degli ospedali, per aiutare le persone con dolore cronico e i malati terminali. Era un praticante di meditazione anche lui, e capì che la pratica avrebbe potuto essere di grande aiuto per queste persone, pur lasciando da parte la componente spirituale. Nel programma (Protocollo MBSR) vengono proposti vari tipi di meditazione che hanno preso ispirazione dal buddhismo ma anche dall’induismo.

Meditando s’impara a prendere consapevolezza di come ci sentiamo realmente, nel profondo, a livello di corpo e mente. Impariamo a osservare e a gestire i nostri pensieri, emozioni e sensazioni. Facendo questo, diventiamo in grado di rispondere anziché reagire in modo automatico quando si presentano delle situazioni stressanti. S’imparano a gestire gli stati d’ansia, depressivi, ossessivi e molto altro.

L’intento non è l’annullamento del pensiero o il rilassamento ma la consapevolezza, la familiarizzazione con la propria mente. Meditando impariamo a conoscere come funzioniamo. Poi potrà arrivare la calma, quella capacità di dimorare in uno stato di presenza mentale, intenzionalmente e in modo non giudicante, per citare Kabat-Zinn.

Ad ogni modo, partirei da cosa NON fa e NON è, per questo ho scritto il libro “I sentieri della meditazione. Mindfulness: cos’è, cosa non è e perché ha cambiato il mondo” (Piemme).

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Dovrebbe essere insegnata a scuola a partire da quella dell’obbligo? 

Assolutamente sì, già dall’asilo! Oggi viene richiesto un grosso cambiamento agli esseri umani, nel loro modo di pensare e di vivere, a livello sociale e politico.

Se non s’impara fin da subito a essere consapevoli di sé stessi, non si potrà mai migliorare. È la consapevolezza a permettere di aprirsi a una visione completa e onesta. E bisogna iniziare a farlo fin da bambini. È in questa fase che bisognerebbe cominciare a conoscersi per non farsi poi travolgere dalle vicissitudini che incontreremo nel corso della vita.

Sappiamo che la Terra è rotonda ma prima era considerata piatta, cosa oggi per noi è inspiegabile e domani diventerà spiegabile?

Faremo ancora grandi scoperte. Conosceremo meglio come funziona il cervello, sconfiggeremo malattie, andremo su Marte, con l’intelligenza artificiale ci sarà un salto in avanti che non possiamo ancora nemmeno immaginare, ma certe cose rimarranno un segreto.

Non credo che scopriremo mai cosa c’è o non c’è dopo la morte, non scopriremo che cos’è la coscienza, non riusciremo a diventare immortali, non sveleremo tutto del nostro immenso e impenetrabile universo.

E il bello è proprio questo, il senso è questo: imparare ad accettare questo mistero e conviverci, senza cercare un perché. La cosa più difficile e illuminante del mondo.

C’è un’energia che regola l’Universo o la nostra esistenza è una mera casualità?

E chi lo sa! E non lo sa nessuno, questo è il punto. Chi ha la certezza di saperlo ha semplicemente fede in qualcosa o qualcuno. Molti fisici credono fermamente che sia tutto frutto del caso. Einstein e altri si opposero a questa teoria. Credevano (o speravano) in una Teoria del Tutto che avrebbe messo d’accordo fisica quantistica e classica… ma la stanno ancora cercando. La fede, come scrisse il filosofo esperto di mistica Marco Vannini, è sperare che quel nulla sia Dio. Alla fine bisogna trovare quello che ci fa sentire meglio, il nostro credo, a ognuno il suo, oppure nessuno. Io penso che la nostra fantasia sia limitata e che abbiamo provato a inventare altri mondi, teorie, filosofie, ma che la realtà di quel che sarà o non sarà supererà di gran lunga ogni nostra immaginazione.

Progetti per il futuro?

Continuare a studiare, a meditare e a insegnare a meditare per aiutare le persone, a viaggiare. E, soprattutto, continuare a scrivere. A ottobre uscirà per Giunti una nuova edizione prestigiosa e rilegata de Il libro tibetano dei morti, per la quale ho scritto la prefazione; sto già lavorando a un nuovo saggio molto utile e pratico per affrontare i momenti più bui grazie alla meditazione, e vorrei pubblicare il mio nuovo romanzo.

I SENTIERI DELLA MEDITAZIONE – DEJANIRA BADA – PIEMME – 2024

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