Enrico Cinotti, dopo la recensione di E’ Facile Fare La Spesa Se Sai Leggere L’Etichetta, ci concede un’interessantissima intervista.
Enrico, sei il vicedirettore del mensile “Il Salvagente”, hai pubblicato con Newton Compton È Facile Fare La Spesa Se Sai Leggere L’Etichetta, come hai maturato e quando il tuo interesse per il consumo consapevole?
Sicuramente non c’è un punto di inizio. Piuttosto credo abbiano influito una serie di fattori che si sono rincorsi tra loro. Innanzitutto l’aspetto professionale. Lavorare per un giornale come Il Salvagente per quasi vent’anni ti costringe a fare i conti quotidianamente con i temi della sicurezza alimentare, con la normativa sull’etichettatura e ti porta costantemente a ragionare sulla possibilità di migliorare la qualità dei cibi che portiamo in tavola.
Poi nel tempo le esigenze famigliari sono cambiate: con due bambine in casa riuscire a stare in equilibrio tra le ragioni del palato e quelle nutrizionali è davvero complicato.
E allora ecco che dal lavoro ti porti a casa (o al supermercato) la cassetta degli attrezzi. Dopodiché fare la spesa mi è sempre piaciuto, soprattutto sapere da dove viene e come nasce una ‘roba’ che finisce nel tuo corpo mi ha sempre incuriosito. Le scelte poi vengono di conseguenza.
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Come è nata l’esigenza di scrivere È Facile Fare LaSspesa Se Sai Leggere L’Etichetta?
Più che esigenza parlerei di intuizione. E questa nasce dall’esortazione di Martina Donati, editor della Newton Compton: “Se non lo scrive una persona come te, chi lo scrive questo libro?”. Che poi era un modo per dire: voi del Salvagente avete la competenza e la sensibilità giusta per ordinare le idee in questa jungla di sigle, codici, promesse e inganni dove è sempre più difficile muoversi.
Fino a due anni fa c’era una vera e propria ossessione in tv del cibo e non solo per quello cucinato. Non c’era un programma, dai talk show alle trasmissioni di inchiesta, che non parlasse di sicurezza alimentare, spesso banalizzando quella che è invece un’esigenza sempre più sentita dai consumatori: avere informazioni chiare e veritiere sugli alimenti che acquistano e sulla propria alimentazione. E allora nel libro come nel lavoro quotidiano cerco di dare il mio contributo. Di fondo questo manuale di difesa consumerista doveva essere scritto e quell’intuizione l’ha reso possibile.
Esattamente che tipo di giornale è Il Salvagente e che servizio offre?
E’ un giornale utile. L’unico giornale in edicola che fa i nomi e pure i cognomi dei prodotti che valuta in laboratorio e giudica per i suoi lettori. Una vera e propria bussola del consumatore da consultare ogni mese in edicola e ogni giorno sul web e sui social per stare alla larga dalle truffe quotidiane quelle che si nascondono tra gli scaffali dei supermercati, ma anche tra le bollette, i conti correnti, le assicurazioni o tra le pieghe di una burocrazia sempre più nemica del cittadino. Merito di Rocco di Blasi, per anni alla guida del giornale, e di Riccardo Quintili, attuale direttore del Salvagente, di avermi coinvolto in questa avventura editoriale che ancora oggi viene portata avanti con coraggio e indipendenza dal nostro editore Matteo Fago.
Cosa nel tempo è cambiato nelle scelte dei tuoi acquisti, quali sono stati i tuoi primi passi da quando hai iniziato a “scegliere senza essere scelto”?
Ho imparato che l’apparenza in questo settore inganna sempre. Che non basta guardare in faccia un alimento confezionato per giudicarlo: bisogna valutarlo in tutte le sue angolature. E allora leggere gli ingredienti, consultare la tabella nutrizionale, controllare la scadenza ma anche valutare i dettagli non è mai un esercizio di stile. Basta ad esempio una preposizione a mandare a monte i nostri piani: “Con farina integrale” non significa che la fetta biscottata usa “solo” materia prima non raffinata; tutt’altro possiamo scoprire che la farina integrale è del tutto marginale.
Oppure possiamo scoprire che i corn flakes sono salati come – se non di più almeno alcuni – un sacchetto di patatine fritte: in una porzione da 30 grammi di corn flakes possiamo trovare 0,2-0,4 g di sale aggiunto appena meno di una corrispondente di chips, che per sua natura si accompagna con il sale.
Nel banco frigo ci sono decine di “yogurt” o meglio di prodotti da latte fermentato visto che sono ormai la maggioranza quelli che noi crediamo yogurt ma che in realtà non sono ottenuti dai due lattobacilli ammessi dalla legge per definire lo yogurt.
Gli esempi possono continuare all’infinito e il libro è concepito proprio così: dare una mano a scegliere al meglio senza farsi ‘fregare’ dal gatto e la volpe, il marketing e la pubblicità che infiocchettano i propri prodotti.
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Oggi abbiamo accesso a molte informazioni, proprio riguardo le possibilità di acquistare una cosa al posto di un’altra…quanta strada ancora abbiamo da fare e in che direzione secondo te?
La normativa anche grazie alle direttive e regolamenti europei ha fatto molti passi avanti. Sui controlli alimentari – e lo dico con cognizione di causa visto che il Salvagente fa oltre 200 analisi di laboratorio su altrettanti prodotti ogni anno – l’Italia non è messa male ma deve essere più incisiva.
Per quanto riguarda le informazioni in etichetta alcune nebbie si sono diradate ma restano diverse zone d’ombra. Una su tutti: gli aromi.
Ad oggi esistono migliaia di sostanze di sintesi a disposizione dell’industria alimentare che usano per “mimare” nei cibi i gusti naturali ma nessun obbligo impone loro di comunicarci quali e quanti vengono impiegati.
Per motivi sanitari c’è l’obbligo ad esempio di specificare quelli di affumicatura – li possiamo rintracciare nei wurstel o in altri salumi – e tra sensazioni artificiali di “faggio” o di “ciliegio” promessi in etichetta in realtà si nasconde più di un’insidia. C’è poi il tema dell’indicazione di origine della materia prima: l’Italia l’ha resa obbligatoria per alcuni prodotti – recentemente sul latte, latticini, pasta, riso e prossimamente sui derivati del pomodoro – anche se in questo caso alcune decisioni di Bruxelles sul cosiddetto “ingrediente prevalente” potrebbero mettere in discussione i nostri passi in avanti.
Bisogna infine a mio parere evitare l’etichetta a semaforo, un sistema che vorrebbe semplificare le scelte di acquisto del consumatore avvertendolo con un bollino rosso il cibo da scartare e con il verde quello da premiare che in realtà è una scorciatoia pericolosa.
Pensiamo solo che la Coca-Cola light verrebbe promossa con il verde perché allo zucchero ha preferito i non migliori edulcoranti mentre l’olio extravergine di oliva verrebbe “stoppato” perché grasso… Un’eresia! Ecco un sistema che non tiene conto delle dosi e non fa distinzione su quanto ne assumiamo e sul tipo di nutrienti contiene (l’extravergine ha un contenuto di grassi ‘buoni’ – i mono e polinsaturi – molto elevati) è solo un inganno a favore delle multinazionali del big food.
Come la crisi economica ha inciso sui consumi e sui consumatori?
Purtroppo ha costretto centinaia di migliaia di italiani a sacrificare la qualità sull’altare della quantità per motivi di reddito disponibile. Se guardiamo i dati sull’obesità infantile negli Usa vediamo che è più pronunciata tra le fasce economicamente più deboli, quelle che hanno accesso al solo trash food: grasso, zuccherato, addizionato… Una tendenza di questo tipo purtroppo comincia a rilevarsi anche da noi. Per questo bisogna fare una battaglia perché il cibo sia, a prescindere da dove lo si acquisti e dal prezzo, salutare per tutti.
Cosa pensi del biologico in Italia, come produzione e come mercato? E degli allevamenti intensivi di carne?
Il biologico rappresenta una sfida, un benchmark, il riferimento al fatto che un altro cibo è possibile: libero da Ogm, senza pesticidi, attento alla biodiversità e alla stagionalità. Dopodiché la scienza e le nuove pratiche rendono possibile anche nel cibo convenzionale di poter sostituire o fare a meno di un po’ di chimica nociva alla salute. Questa sfida non dobbiamo abbandonarla perché è ancora il convenzionale il cibo più consumato dai consumatori.
Stesso vale per gli allevamenti intensivi: molti studi ormai indicano che il benessere animale incide anche sulla qualità del prodotto finale.
Lo abbiamo testimoniato con un test sui petti di pollo sul nostro mensile: la carne che proveniva da razze a lento accrescimento, impiegate soprattutto nel bio, è più ricca di omega 3, ferro, di antiossidanti e ha meno acqua che, non dimentichiamocelo, paghiamo nel prezzo finale.
Una delle tante cose che ho appreso dal tuo libro è che gli additivi (quei numeretti di cui troppo spesso non conosciamo il significato) sono molti e hanno ben 26 funzioni. A me sembrano tante e non tutte fondamentali, ma nei prodotti che ci propongono massicciamente la tendenza è ad aumentare o a vederli diminuire?
Anche se la tendenza attuale è quella a preferire i “free from” ovvero i prodotti “senza” (senza olio di palma, senza zuccheri, senza glutine, ecc..) è vero che per anni non ci hanno risparmiato le abbuffate di additivi o ingredienti utili solo a mascherare la scarsa qualità della materia prima di partenza. C’è una regola – che naturalmente va adattata al contesto – che più o meno dice: più è lunga la lista degli ingredienti più il prodotto si allontana dalla sua naturalità. Quindi più ingredienti leggiamo, specie in sigla, più dubbi dobbiamo farci venire e se, a parità di tipologia, troviamo un’alternativa senza o con meno additivi non sottovalutiamola. Poi ovvio ci sono additivi molto usati come l’E300, l’acido ascorbico, antiossidante utile e del tutto innocuo accanto a coloranti come l’E150d il caramello solfito ammoniacale usato nelle cole accusato di interferire con il sistema immunitario.
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Quale è la tua idea di spesa, il tuo carrello perfetto?
Tendo a privilegiare l’utilità più che la quantità. Come tutti faccio lo ‘spesone’ nel fine settimana ma alcuni alimenti – pane, latte, salumi al taglio, alcuni ortaggi – tendo ad acquistarli quotidianamente o al bisogno per averli più freschi. Poi ovvio ci sono cose che per sfizio o per necessità acquisto solo in determinati posti, ad esempio il pesce, alcuni salumi e la pasta ripiena.
Un libro che per te è stato importante e uno che non sei riuscito a finire?
Leggo molta saggistica e per fortuna al di fuori dei miei interessi professionali. Per cui cerco di darmi un metodo: ogni tre saggi, un romanzo. Se devo rispondere nettamente almeno mi si conceda una coppia di titoli. Gli importanti: Letteratura e vita nazionale di Antonio Gramsci e A sangue freddo di Truman Capote. I due che non sono riuscito a finire: I passeges di Parigi di Walter Benjamin e Moby Dick.
Se fossi un libro saresti?
La danza immobile di Manuel Scorza un romanzo giocato tra il Sud America rivoluzionario e Parigi dove amore, amicizia e rivoluzione si fondono e impongono delle scelte di vita ai protagonisti.
Enrico grazie mille per l’intervista e del bel libro, che ormai tengo come un oracolo da consultare. Continuo a seguirti sul sito www.ilsalvagente.it così resto aggiornata su tutto.
Per “scegliere senza essere scelti”!
E’ FACILE FARE LA SPESA SE SAI LEGGERE L’ETICHETTA – NEWTON COMPTON EDITORI – 2017
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