Gli Invernali, una citazione:
“Tu leggi una riga di Kafka e hai letto tutto Kafka, una riga di Bernhard e hai letto tutto Bernhard, una riga di Manganelli e hai letto tutto Manganelli. Solo gli scrittori mediocri hanno bisogno di essere letti fino alla fine.”
Gli Invernali mette in scena i molti vizi e le poche virtù di un certo ambiente cultural-editoriale.
Un editore rifiuta il romanzo di uno scrittore: niente di male, se editore e scrittore non fossero anche amici per la pelle e testimoni di nozze dei rispettivi matrimoni.
Un esordiente viene tenuto a battesimo da un importante critico letterario: tutto bene, se l’esordiente non frequentasse l’ex moglie del critico.
Una scrittrice di romanzi rosa va a letto con il suo agente letterario: ammissibile, se scrittrice e agente non si incontrassero a colazione proprio con il marito di lei, un lavoratore nel ramo della fibra ottica senza alcuna propensione per l’arte.
Questo girotondo di personaggi che appartengono al famigerato quanto avventuroso mondo culturale non potrebbe andare in scena se non durante quella “barzelletta seria” che è l’inverno romano.
Un tempo li si sarebbe chiamati con ossequio “intellettuali”. Oggi li guardiamo con tenerezza mentre tentano di sfangarla, tra idealismo e problemi pratici, tradimenti e atti di fede, illuminazioni e ottenebramenti.
In una Roma che “se non esistesse non andrebbe inventata”, si consuma un’impietosa schermaglia che riguarda le passioni, i sentimenti, gli affetti.
Dopo Gli autunnali e Gli estivi, Luca Ricci ci consegna il terzo tassello della quadrilogia delle stagioni. Un romanzo che, quasi per contrapporsi alla letargia invernale, ha un ritmo ancora più frenetico, capace d’indagare le ragioni più profonde che muovono le donne e gli uomini.
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Gli Invernali ci racconta una giornata intera di un inverno romano. O, meglio, la “caricatura” di un inverno vero, una non-stagione la cui cifra stilistico-esistenziale è un umettato che permea le vite degli abitanti.
“In realtà a Roma le quattro stagioni non sono che modulazioni di un unico elemento che è l’umido. Così abbiamo l’umido ghiaccio per l’inverno, l’umido allergico per la primavera, l’umido torrido per l’estate e infine l’umido umido per l’autunno.”
Un romanzo che sembra una pièce teatrale, perché i luoghi chiusi sono lo sfondo di un chiacchiericcio futile e fitto tra persone appartenenti a vario titolo (autori, editori, press agent, critici letterari, accademici) al mondo della cultura.
I personaggi delineati da Ricci sono maschere pirandelliane, vivono e agiscono cercando di essere personaggi di se stessi. Personaggi che assomigliano però a persone vere, terribilmente autoreferenziali, che si possono incontrare a qualsiasi dopo-cena o happening romano.
Sembra una caricatura di un certo mondo, in realtà somiglia più a un’istantanea dei salotti italici nei quali la Cultura appare essere l’ultimo fine.
Ricci ci accompagna sul bordo dello stagno, in prossimità di acque in cui abbiamo paura di specchiarci, come un Narciso distratto.
In quel riflesso potremmo trovare cose che non vogliamo ricordare: il conformismo dei rapporti, le aspirazioni irrealizzabili, le invidie lavorative, i rancori personali, le scorie delle relazioni passate.
“L’inverno è la storia delle cose che abbiamo sepolto.”
Gli invernali, più che a un romanzo, somiglia a un insieme caustico di diapositive ciniche, i cui protagonisti non sono solo personaggi di finzione.
Ci siamo anche noi. Anche se non ci piace affatto ammetterlo.
GLI INVERNALI – LA NAVE DI TESEO – 2021
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