L’Impulso di Lidia Yuknavitch – Recensione


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L’Impulso, una citazione:

“Porto alla superficie del corpo, e della psiche, le storie racchiuse così in profondità dentro di noi che sussultiamo nel pronunciarle. Porto in vita le storie, così che possano guarire i corpi.”

Laisvė, una ragazzina nata alla fine del XXI° secolo, fugge dalla sua terra su una barca.

Nelle acque dell’oceano perde la madre, e appena arrivata nel nuovo paese viene separata dal fratello neonato e dal padre.

Ma, oltre il qui e ora di un’epoca segnata dall’innalzamento del livello dei mari e dallo stato di polizia, Laisvė è una portatrice: si tuffa in acqua e viaggia nel tempo, trasportando oggetti, memorie, persone – e cambiando il corso degli eventi.

Entra così in connessione con alcuni personaggi degli ultimi due secoli: Frédéric-Auguste Bartholdi, uno scultore francese; Aurora, una donna che sperimenta la libertà in ogni sua forma; un assassino minorenne che in un istituto di detenzione disegna bozzetti visionari; la figlia di un dittatore, in cerca di una catarsi che possa affrancarla dal peso delle sue origini; e una squadra di operai impegnati nella costruzione della Statua della Libertà.

Lidia Yuknavitch ha un’incredibile abilità nel catturare storie e figure ai margini: esseri umani vulnerabili divisi tra la durezza del quotidiano e il desiderio di trascendenza.

L’Impulso è un romanzo sorprendente sul corpo, lo spirito e la volontà di resistere all’oppressione.

Come Laisvė, nuota tra memoria e utopia, attraverso il tempo e lo spazio, i corpi e gli ideali.

La prova che l’immaginazione è un posto reale.

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Lidia Yuknavitch, classe 1963, ha insegnato Scrittura creativa, Letteratura e Studi femminili alla Eastern Oregon University.

Come Virginie Despentes – già recensita lo scorso luglio Caro Stronzo di Virginie Despentes – Recensione – la Yuknavitch fa parte di una generazione di scrittrici che spezza gli stilemi della letteratura tradizionale.

Scruta e ricerca il buio, l’inquietante, le contraddizioni del tempo che abitiamo, senza rinunciare alla speranza che nulla sia ancora perso.

L’Impulso è una sfida alla forma classica del romanzo.

Siamo avviluppati da fili narrativi che si intrecciano. Non sono presenti gli elementi tipici del racconto, tutto scorre proprio come l’acqua.

Questi fili possono attraversare il tempo e lo spazio, e il personaggio di Laisvė diventa in questo senso un simbolo, un oggetto funzionale al potersi muovere con agilità tra diverse dimensioni.

Storie, come ragnatele, che parlano di coloni, immigrati, bambini sfruttati, donne abusate.

Al centro di tutta la narrazione c’è l’idea, la parola, il corpo di quella che chiamiamo libertà.

La libertà è il vero centro delle storie. Ma di quale libertà stiamo parlando? Quella sbandierata da anni in Occidente per indire guerre e campagne di invasione? Quella negata ad altri esseri umani in fuga dai conflitti in nome dell’ordine sociale? O quella diffusa in un certo mondo “illuminato” e borghese, quando altrove bambini muoiono di fame e stenti?

L’Impulso è sì un j’accuse alla coscienza sporca del mondo occidentale, ma non solo.

Perché anche il tempo assume un ruolo preponderante: la Yuknavitch sembra dirci che il tempo non è lineare, ma circolare. Le cose tendono a ripetersi.

E questo è un bene: vuol dire che abbiamo sempre la possibilità di cambiare la storia, di raddrizzarla.

Anche le svolte più cupe vanno affrontate come una nuova opportunità di ribellione, una nuova occasione di scegliere la rivoluzione, inseguire l’emancipazione.

Non bisogna avere paura, né di abbattere sovrastrutture ormai desuete né del cambiamento. Perché siamo un oceano dentro corpi e costrutti troppo angusti per contenerci.

Panta rei.

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