Malempin di Georges Simenon – Recensione


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Malempin, una citazione:

“Non ho alcuna certezza di arrivare alla verità. Era un obiettivo, quasi un pretesto che mi davo all’inizio, ma adesso mi è indifferente. La voluttà, un po’ come per un dente malato, sta nel ritrovare a ogni istante dettagli che credevo dimenticati.”

Malempin, scrive André Gide nei suoi appunti per un libro su Simenon, è la messa in pratica perfetta di quello che l’autore definisce il suo metodo: «far rivivere il passato nel, e attraverso il, presente. Qui i ricordi del passato si alternano al racconto del momento attuale … E il passato fa luce sul presente, che senza quello rimarrebbe incomprensibile».

Del passato, mentre veglia notte e giorno il minore dei suoi figli, affetto da difterite maligna, il dottor Édouard Malempin rievoca soprattutto l’infanzia. Perché è stata quella – è sempre quella, Simenon ne è convinto al pari di Freud – a fare di lui l’uomo che è oggi.

Determinanti sono stati certi odori (quello della cucina della casa dei genitori, ad esempio), certe sensazioni (la beatitudine che provava allorché, malato, poteva «fare assenza» e isolarsi dal mondo), certe scene (la notte in cui si era svegliato e aveva visto il padre chino su di lui, o quando avevano portato in manicomio la giovane zia, bionda rosea e polposa, in preda a una crisi di follia) che si sono fissati nella memoria.

Ma più ancora le zone d’ombra e i misteri che non è mai riuscito a penetrare fino in fondo.

La scomparsa di uno zio a cui i suoi genitori dovevano un bel po’ di soldi, l’aver sentito la madre mentire a un gendarme venuto a interrogarla, e quel polsino con un gemello d’oro che poco tempo dopo aveva visto in una discarica andando a scuola, e sul quale aveva sempre taciuto.

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Scritto in Alsazia nel 1939, Malempin è apparso l’anno seguente. I romanzi di Georges Simenon, uno dei più famosi scrittori belgi di lingua francese, sono in corso di pubblicazione presso Adelphi.

Édouard rivive le sensazioni e le atmosfere della sua infanzia. Torna a essere un bambino e si trova a ripercorrere alcuni momenti, salienti o marginali, della sua vita.

“Perché, da stamattina, sono in preda a un a smania che non mi fa guadagnare un solo secondo? Di cosa ho paura? In certi momenti ho l’impressione di voler sfuggire a qualcosa, d’ingannare la sorte.”

Con Malempin Georges Simenon scrive il più proustiano dei suoi romanzi.

Una madeleine che rievoca ricordi di famiglia dolorosi e singolari, sepolti da qualche parte tra mente e cuore, che danno nuova luce agli istanti del presente.

Un viaggio nella memoria profonda di un’infanzia perduta, un flusso di coscienza che Simenon riesce a riportare al lettore con delicata maestria.

Il dottor Malempin si troverà, al capezzale del figlio, a fare i conti con i ricordi, le tappe, gli episodi della sua vita; e così anche le vecchie storie che hanno intessuto di generazione in generazione le vicende della sua famiglia.

Malempin è una sapiente miscela di tenerezza e causticità.

Simenon, sempre così bravo a raccontare lo squallore degli adulti, qui ritorna bambino anch’egli, e lo sguardo del bambino verso gli adulti è ancor più tagliente.

Un bisturi che incide tutte le nostre piccole nefandezze.

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MALEMPIN – ADELPHI – 2024

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