Nessuna Voce Dentro – Intervista Massimo Zamboni


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Massimo Zamboni, dopo la recensione del suo Nessuna Voce Dentro, ci concede una bellissima intervista.

Perché lo hai chiamato Nessuna Voce Dentro?

Mi è sembrato che il vero senso di tutta questa scrittura, che è un senso che ho trovato postumo non nelle premesse iniziali, fosse proprio la solitudine che ha accompagnato tutto il percorso in una Berlino così tumultuosa, così viva che però in fin dei conti era sempre vissuta in maniera molto solitaria. Mi sono reso conto che la vera cosa che si stava attuando era la ricerca di una voce propria e intima che non fosse la voce della collettività o del periodo storico ma proprio la mia voce personale. Partendo da una situazione di afonia fino all’aver trovato alla fine di Nessuna Voce Dentro la mia voce, paradossalmente nella voce di un altro. E’ stata infatti la voce dell’incontro finale del libro che mi ha dato la possibilità poi di continuare un percorso per cercare la mia vera voce.

Perché hai scelto Berlino per la tua avventura a 24 anni?

In verità sono stato un po’ scelto perché io stavo già viaggiando da parecchi anni, un po’ in tutto il mondo, tornando a casa sempre molto arricchito, sempre più contento di viaggiare ma in fin dei conti con poco in mano perché questi viaggi non si erano mai tradotti in qualcosa di consistente e quindi continuavo a viaggiare alla ricerca di questa consistenza. Mi è capitato di leggere un racconto sulla rivista che andava all’epoca, cioè ‘Frigidaire’, che parlava di Berlino. Questo racconto è stato capace di interessarmi al contrasto tra la Berlino dei giovani, cioè quei ragazzi che arrivavano con la possibilità di crearsi una vita in quella città, e l’oppressione della Berlino Est che era lì a due metri dal’altro lato della città così pieno di vita. Questo specchio ravvicinato mi ha attratto immediatamente.

E’ tutto vissuto il narrato di Nessuna Voce Dentro oppure c’è anche qualcosa di romanzato?

Ho messo in premessa quella frase che dice che l’importante è osservare, non si tratta di inventare o di creare, quindi per me una volta che scrivendo riproponi un’esperienza, è comunque sempre modificata da te. Come quando parli da un microfono, è la tua voce ma è passata attraverso un apparecchio meccanico. Quell’apparecchio meccanico è anche la scrittura che a seconda della capacità o meno di chi la usa, riesce a portarti in alcuni territori, dove magari altri, vivendo la stessa esperienza non ti avrebbero mai portato.

Com’era vivere in una casa occupata negli anni Ottanta?

Venendo dalla provincia di Reggio Emilia, posso dire che dal mio punto di vista era tutto così fermo da noi. La città di Reggio, e tutta l’Emilia in particolare, erano zone molto colte, molto piene di fermento, di vita, di attraversamenti, però c’era sempre un impedimento davanti, c’era sempre qualcosa che non si poteva fare. C’era molto controllo. Alla fine degli anni Settanta era veramente uno stato di polizia specialmente nei confronti di chi aveva vent’anni. Quindi arrivare in una città come Berlino, dove potevi occupare una casa, potevi inventarti un lavoro, era una specie di paradiso in terra dal nostro punto di vista. Poi vivere, si viveva come si viveva, in base alle compagnie che trovavi, bene o male, era facile litigare per un bagno sporco, così come si fa normalmente, però allo stesso tempo c’era molta freschezza e tra l’altro erano case realmente molto aperte. C’era un andirivieni di persone veramente notevole. In Italia, in situazioni analoghe, difficilmente ho trovato questa capacità di sogno.

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Le differenze tra la Berlino di oggi e quella di Nessuna Voce Dentro, dove era ancora presente il Muro?

La città è cambiata enormemente, si è molto normalizzata e c’è un’espulsione continua, sia dalla vecchia Berlino sia da questa nuova di Berlino, verso i margini della società. Vecchi quartieri come Friedrichshain della Berlino Est o altri limitrofi, sono stati conquistati dal capitale. Sostanzialmente si sta mettendo sempre più ai margini chi invece aveva in mente altre prospettive di vita, ma questo sembra un processo inarrestabile. Però è una città molto gradevole, molto colta, che ha la capacità di relazionarsi con la storia, molto più che le altre capitali europee. Forse anche per discolparsi, però c’è questa capacità di relazione e la avverti molto facilmente.

Hai uno stile molto personale nella scrittura, come tra l’altro con la chitarra, lo hai perfezionato nel tempo o è una qualità innata?

Ho sempre pensato che avrei potuto scrivere, ma quando fai il musicista, hai altre sollecitazioni e non rimane il tempo materiale appunto per scrivere. E’ chiaro che la maturazione nel pensiero può portare anche alla maturazione nella scrittura, mi auguro che sia stato così. Mi rendo conto che sono molto più coraggioso nello scrivere adesso. Tendo a nascondere molto meno quello che ho provato in una situazione e lo dimostra il fatto che i miei libri sono sempre in prima persona. Difficilmente tendo a romanzare la vita di altri. Mi rendo conto che ho la capacità di mettere su un foglio quello che esattamente mi passa per la testa, poi ovviamente si può giudicare il valore di quello che mi passa per la testa.

Questo vale anche per la chitarra? Anche lì hai talmente perfezionato lo stile che se si accende la radio e si ascolta una canzone si può tranquillamente osservare: questa è la chitarra di Massimo Zamboni!

Questo mi fa un gran piacere. La chitarra la sento un po’ come uno strumento estraneo e, a dire la verità, è qualcosa che si frappone tra me e la musica. La scrittura invece io penso che parta direttamente da me e si risolva in me. Non trovo che ci siano strumenti di mezzo e questo mi facilita molto rispetto alla chitarra con la quale c’è sempre un po’ di ostilità tra me e quel ‘pezzo di legno’.

Progetti per il futuro? Stai già iniziando a scrivere qualcos’altro? O è solo dedicato alla musica questo periodo della tua vita?

La musica pian piano sta facendo come i quartieri di Berlino Est, cioè sta spopolando e andando verso il margine perché scrivere mi piace molto e mi sembra che in questo periodo ci siano molte più possibilità di descrivere il mondo con la scrittura che non con la musica. Nonostante questo, il progetto grosso a cui sto lavorando in questo periodo è lo spettacolo che esordirà questo novembre “I Soviet+L’Elettricità” per il centenario della rivoluzione sovietica. E’ uno spettacolo molto impegnativo dal punto di vista della musica, della scrittura e anche della recitazione. Mi sta prendendo al cento per cento. Poi c’è un libro in corso che ha a che fare con questo spettacolo perché parla del secolo ‘900, visto dalla prospettiva di un piccolissimo e glorioso comune di Reggio Emilia che è Cavriago, cioè l’unico comune italiano dove c’è ancora una statua di Lenin in piazza. Sto cercando di tracciare la storia di tutti quegli uomini che hanno deciso di vivere la loro vita con passione sentendosi al centro del mondo pur essendo in un microscopico comune di quattromila abitanti.

NESSUNA VOCE DENTRO – EINAUDI – 2017

 

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