33 Giri. Gli Anni Ottanta, una citazione:
“Mettetevi il cuore in pace, in Aguaplano i testi sono un complemento, cioè del tutto subalterni alla musica. È la musica che parla, la musica che rivela, che dice (e non dice). È lei che fraseggia, illanguidisce, rimanda a partire da un punto lontanissimo oltremare. In quanto Aguaplano è il disco della fantasia al potere, dell’isola che sta in mezzo a cielo e terra.”
Gli anni Ottanta sono riconosciuti come gli anni del Riflusso, della grande fuga dall’impegno di massa e dall’ideologia.
Dopo il saggio “33 Giri. Gli anni Settanta”, già recensito da noi l’anno scorso, in 33 Giri. Gli Anni Ottanta Mario Bonanno racconta come sono andate le cose ai cantautori e al Paese alla fine del decennio d’oro.
Come nell’opera precedente si cerca di raccontare il periodo attraverso i dischi di alcuni cantautori italiani. Raccontare gli anni ’80 non è facile, sono anni di abbaglio collettivo e della fuga dai bisogni e dalla vita reali.
Il viaggio comincia nel 1980 e si conclude nel 1989 attraversando gli anni della “Milano da bere”, dello yuppismo, dell’affermazione del PSI in un’Italia che cerca di cavalcare edonismo e nuove mode esotiche o eterodosse.
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Nel complesso, la canzone popolare segue infatti lo Zeitgeist del tempo, anche se non tutto è da buttare. Tra espressioni canoniche e nuove espressioni, la canzone d’autore al tempo del Riflusso è una galassia frastagliata, anche se forse meno “profonda” del decennio precedente. La canzone popolare diviene leggera, ballabile, soprattutto diventa da vendere e da vedere.
Se si esclude l’inconsistenza genetica della pop music e quella fine a se stessa della discomusic, la new wave del rock è fatta di elettronica, contaminazione di linguaggi, sperimentazioni spesso e volentieri implausibili. Il testo è un pretesto, il contenuto è demodé: qualcosa di vetusto, respingente. Disimpegno è la parola d’ordine.
Nel bene e nel male, ci sono stati dentro vecchie glorie e giovani meteore, poetiche biforcute e altre resistenziali, dischi-capolavoro e dischi-saponetta, apici qualitativi e cadute rovinose.
Così, per un Camerini perso nell’Arlecchino rock, un Graziani in affanno, un Bennato in crollo creativo dopo Sono solo canzonette e un Venditti frivolo colpito dallo tsunami cuore/dolore, si assiste alla rinascita artistica di Iannacci, alla piena maturità di Ivano Fossati e Franco Battiato e alle promesse divenute realtà (Mario Castelnuovo, Ruggeri, Alice, Stefano Rosso, Sergio Caputo che, con la sua ironia, è forse il vero “fotografo” del decennio) affiancate dalle importanti riconferme di Gaber, De Gregori, Conte, De André, Guccini, Vecchioni e il resistente per antonomasia, Pierangelo Bertoli.
33 Giri. Gli Anni Ottanta è un percorso lineare, che procede anno per anno, affidando a dischi e canzoni la narrazione di un periodo fatuo della storia italiana, in cui Bonanno non fa nulla per nascondere il fastidio per l’aura di questo “decennio breve” e non fa sconti a nessuno. Soprattutto a Vasco Rossi ,visto come l’emblema nichilista di un’epoca, e a Venditti, con il quale è più che tranchant “ma si può cadere più in basso di così? Vabbè che sono passati, ma viene lo stesso da chiedersi come sia stato possibile che il maoista a oltranza, il barricadero de noantri, il severo fustigatore dei malcostumi italiani, sia approdato a cotanto livello di in essenzialità … non è tanto per l’overdose di melassa sentimentale che insozza il disco, quanto per la forma e la spudoratezza con la quale il pastone zucchero-miele-struggimento viene servito, come nemmeno il più brufoloso e pipparolo degli studenti del Giulio Cesare servirebbe.”
Troppo severo? Purtroppo temo di no.
33 GIRI. GLI ANNI OTTANTA – PAGINAUNO – 2019
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