Recensione di Atlante Delle Meraviglie – Danilo Soscia


Atlante Delle Meraviglie Recensioni

Atlante Delle Meraviglie, una citazione:

“Concluso il viaggio, a casa assegnammo un nome all’odio che ci univa. Dividemmo equamente ogni cosa. Smarrimmo l’uno il ricordo dell’altro, prima ancora di separarci. Fosti l’ultima. Dopo ti te scoprii di essere vecchio. Tunisi, città della nostra fine, inferno di ristoranti a buon mercato, gorgo crudele di frutta matura e gas. Nessuno mi crede quando confesso con vergogna che a Tunisi non ho mai visto il mare. Maledetta città che non ci ha mai mentito. Sono tornato per ricordare a me stesso che un tempo siamo stati vivi insieme. Tunisi non ha più memoria di te, che eri tanto simile alle sue ragazze.”

Potrei parlare per ore di Atlante Delle Meraviglie. Inizierò da come finirei. Un libro commovente per la sua imbarazzante bellezza.

C’era una volta la Wunderkammer, la camera dei prodigi, una collezione di oggetti rari e particolari, meraviglie dell’ingegno e della tecnica, orrori sublimi della natura e della storia.

E c’era, nella nostra infanzia, il caleidoscopio (dal greco “vedere bello”)  piccolo tubo di cartone con il quale, attraverso specchi e frammenti di plastica di varie forme e colori, il nostro occhio poteva godere di una molteplicità di figure. Ruotando il caleidoscopio, le figure mutavano continuamente cambiando colore e forma, senza mai ripetersi.

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Portando a crasi la Wunderkammer ed il caleidoscopio, Soscia ci racconta sessanta parabole esemplari o memorie infedeli, narrando con uno stile potente e personalissimo le inquietudini e le ossessioni che da sempre attanagliano il cuore degli uomini.

Sessanta frammenti, quasi fotografici nell’essenza ma non nella immediata descrizione, sulla forma-parola e sul racconto, sulle infinite permutazioni e possibilità della lingua e della memoria, come le scale di Escher, che portano dovunque e da nessuna parte.

Di racconto in racconto, incontriamo animali, miti dell’Antica Grecia, Sacre Scritture, personaggi illustri – Rimbaud, Saffo, Walter Benjamin, San Francesco, Jurij Gagarin – e senza nome, congegni e Città, crimini e prodigi. Perché “ogni reperto rappresenta in sé un’epifania, soprattutto quando materializza un cortocircuito temporale, o una vertigine di senso.”

Ciascun componente dell’Atlante, ogni maschera, simulacro o fantasma di questo stream of consciousness vive sì nella sua particolare bolla, ma non distaccato dal complesso cosmico in cui si colloca.

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Un pugno di storie può contenere la vastità del mondo, sembra dirci Soscia, tentando di raccogliere e ordinare – ove possibile – l’esistente.

Come ne “Il libro degli esseri immaginari” di Borges si coniugavano zoologia e mito, in queste pagine si terraforma davanti ai nostri occhi uno scenario sospeso nel magico, in cui verità storica e verosimile, finzione e rappresentazione si trasfigurano e pulsano all’unisono.

E, come nelle città invisibili narrate da Calvino, anche qui le storie prendono vita quasi fossero un Golem, nel momento in cui il lettore vi aderisce fideisticamente, facendosi rapire da esse.

“Venne il giorno della nostra separazione, il giorno in cui il tuo padrone ti volle solo per sé. Ti vidi nuda un’ultima volta. E così fui obbligata a imprimere nell’udito, nel gusto, nella pelle il tuo nome. Avrei voluto mangiare l’adipe vivo dei tuoi fianchi. Ti tagliai una ciocca di capelli, come se tu fossi già morta. Eppure non piangemmo nemmeno una lacrima, tanto avevamo fame di tempo insieme .. E poi, il tuo pollice premuto sul mio zigomo teso, dicesti, Ovunque noi saremo, saremo altrove. Ciascuna saprà sempre evocare il sapore dell’altra. Il tuo è salato, e ha la forza erbosa dei bulbi rotti tra pollice e indice. Il mio è zuccherino, e ha la secchezza tenue del sughero e del ginepro.”

Le meraviglie, appunto.

Perché “Niente è vero, eppure accade.”

ATLANTE DELLE MERAVIGLIE – MINIMUM FAX – 2018

 

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