Autobiografia Di Una Foto Di Famiglia, una citazione:
“E questo è ciò che ho pensato: questa ragazza qui con le braccia intono alle gambe non è una ragazza ma una donna. E nella donna ci sono un milione di ragazze imbottigliate, silenziate. Un milione di mezze vite, alcune hanno la gonna ma il busto scoperto. Alcune hanno le braccia scure tese verso l’alto, altre sono intente a chinarsi, immobili come vetro. Un milione di ragazze. Scure. Urlanti. In aumento. Caos. Harakiri. Guerra.”
Autobiografia Di Una Foto Di Famiglia è la storia di una ragazzina afro-americana “troppo magra, troppo nera, troppo arrabbiata” e della sua famiglia a New York tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta.
Al tempo stesso audace e titubante nel procedere in quella zona di mezzo che è il passaggio dall’infanzia all’età adulta, la protagonista racconta di sé, dei genitori e dei quattro fratelli, in soggettiva e come sfogliando un album di foto.
Troy, che si scopre omosessuale e passa l’ultima notte prima di andare in guerra a ballare con i tacchi alti della madre. Cory, “un neonato pallido in fasce azzurre, la prova che un uomo nero non può lasciare la sua donna per un minuto senza che lei lo copra di ridicolo”. Angel, la sorella maggiore, ribelle e sprezzante, che di notte corre in bagno, “il suo respiro brusco è il segno che questo crescere è doloroso… Ma succede a tutte le ragazze. Poi tutte devono alzarsi nel cuore della notte per lavarsi la biancheria. E guardarsi le spalle”. Carlos, che potrebbe andarsene, ma resta sempre in questo cerchio che di magico, sfortunatamente, ha ben poco.
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A fare da sfondo è un’America periferica, accesa dalla guerra in Vietnam, dalla nascita del movimento gay e dai cambiamenti che stanno succedendosi nella società americana. Un paese che, agli occhi di un’adolescente, appare sempre troppo grande per aggiustare o anche solo stemperare le piccole e grandi tragedie di quel microcosmo familiare chiamato casa.
Pagine che sono una sorta di diario minimo, ove errori, rabbia, affetto, protezione, libertà e comicità concorrono alla raffigurazione di una famiglia sui generis, che rappresenta però fedelmente la società americana di quei tempi.
Jacqueline Woodson è autrice di più di una dozzina di romanzi per bambini e adulti, tra cui il memoir – best-seller per il New York Times e vincitore del National Book Award 2014 – Brown Girl Dreaming, ed è stata recentemente nominata Young People’s Poet Laureate dalla Poetry Foundation e nel 2018 ha vinto l’Astrid Lindgren Memorial Award, uno dei premi più importanti al mondo nella letteratura per ragazzi. Vive con la sua famiglia a Brooklyn, New York.
Con una prosa tagliente, ma anche poetica, in cui reale e surreale non sono sempre facilmente distinguibili, l’autrice ci parla di un argomento che conosce bene: cosa vuol dire crescere nell’America degli anni Settanta se sei una ragazza e, soprattutto, se sei nera. E lo fa regalandoci una lettura a più livelli, affatto superficiale, in cui il piano intimista è continuamente sbalzato da uno sguardo più ampio sulla comunità urbana.
Per come descrive lo scombinato nucleo familiare protagonista del libro, la Woodson mi ha ricordato il Gerald Durrell di “La mia famiglia e altri animali”.
Ma qui non siamo a Corfù, ma a NYC e, sottraendo, si aggiunge un altro strato… Che sia di pelle, o di amore, spetterà al lettore dirlo.
AUTOBIOGRAFIA DI UNA FOTO DI FAMIGLIA – EDIZIONI CLICHY – 2018
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