Chi Sbaglia Paga di Sergio Abis è un libro che non ho conosciuto per recensirlo, ma perché il suo autore avrebbe dovuto presentarlo nel carcere di Livorno e relativo distaccamento di Gorgona.
Luoghi “privilegiati” di reclusione dove durante il “lockdown” causa Covid-19, con l’associazione che dona i natali al sito Direfarecambiare, ho potuto organizzare delle dirette con alcuni importanti autori.
Per incentivare la lettura, portare bellezza e svago dentro delle mura dove si è reclusi “sempre” e diamo per scontato che sia così e così debba essere.
Questa è stata la fortuita occasione grazie alla quale mi sono imbattuta in Chi Sbaglia Paga e l’ho letto, scoprendo così una realtà da me lontana ma che assolutamente mi compete.
In Chi Sbaglia Paga, che ha la prefazione di Gherardo Colombo (mica pizza e fichi!), c’è una prima parte in cui possiamo attingere alle lettere di alcuni detenuti.
“Il problema non è tenere i detenuti dentro il carcere ma tenerli fuori, e come.”
Grazie a queste ci rendiamo conto della vita dei carcerati, delle dinamiche interne, della dilagante illegalità cui sono inevitabilmente costretti.
Un vero controsenso in termini.
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Persone che hanno commesso reati, drogati, assassini, gente che avrebbe bisogno di aiuto psichiatrico, tutti insieme, stipati e senza nessuno che se ne interessi davvero.
Nessuna rieducazione, nessuna speranza, nessun futuro.
Ci viene evidenziato che il 70% dei detenuti (70 esseri umani reimmessi nella società su 100), una volta usciti tornano a delinquere. Quindi nuovamente in carcere (con immensi costi per lo Stato, cioè noi).
All’interno delle carceri ogni 2 detenuti c’è una guardia.
All’interno delle carceri ogni 70 detenuti c’è un educatore.
Ma poi arriviamo alla seconda parte del libro di Abis, quella in cui ci viene raccontata una realtà diversa possibile, quella della Comunità sarda La Collina di Serdiana, fondata da don Ettore Cannavera, ben 25 anni fa.
“Se La Collina è nata di fronte a un tramonto, dopo venticinque anni di lavoro è ora di porla di fronte all’alba, di far sì che possa disseminare il patrimonio di esperienza accumulato e di vite recuperate dal disastro del carcere. Vite restituite alla collettività.”
La Collina è un modello di carcere detentivo volto a rieducare il condannato, senza sconti, dove l’esperienza comunitaria, a stretto contatto con esperti educatori dà i suoi frutti.
Ormai da un buon quarto di secolo.
“La consistenza numerica del gruppo di detenuti in recupero dev’essere limitata… è consigliabile porre particolare attenzione alla presenza di figure femminili, sia per la creazione di un ambiente famigliare nel caso di giovani, sia per la rappresentazione completa della realtà sociale esterna alla comunità, in piena antitesi con l’esperienza carceraria…“
La percentuale di recidiva per chi esce da lì è del 4%, che in confronto al 70% sopra riportato è totalmente un altro dato.
E quando scrivevo che la tematica di questo libro mi compete è perché penso fermamente che a tutti debbano esser date dignità e speranza, che ogni essere umano debba essere trattato come da Costituzione (vd. Art.27) e perché chi viene reimmesso nella società deve avere avuto gli strumenti per tornare a farne parte.
O nessuno ne uscirà vincitore.
Quindi il carcere alternativo non può restare solo una bella idea, cui pochi possono realmente attingere, ma deve diventare la norma.
Questo è importante per tutti, per chi sta dentro e per chi sta fuori.
Perché, anche se ancora non lo si è compreso, in qualche modo TUTTO ci compete!
CHI SBAGLIA PAGA – CHIARELETTERE – 2020
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