Il Grido, del promettente Luciano Funetta, ti avvolge dal primo passaggio. Solo le parole usate per narrare formano un turbinio di emozioni alle quali il lettore difficilmente riuscirà a scappare prima della fine della storia.
Un racconto suburbano, losco e oscuro, che vede una donna che del dolore ne ha fatto una sorta di ‘para-gioia’. Una serenità parallela impigliata nelle tante insidie che le si manifestano ogni giorno.
In Il Grido, Lena Morse vive ai margini di un mondo dimenticato. Lei e quel Kraken Bar pieno di bizzarri avventori. Qualcuno va al bar per dimenticare la vita. Qualcun altro invece per ricordarsi che è vivo. In palio c’è un bicchierino di grappa svoltato oppure la morte, nascosta dentro a una scudisciata di frustrazione fulminea.
Come viene se ne va, questo vedono gli occhi di Lena. Lei sta al gioco. Anche a uno scherzo che può diventare pesante come il fiato di un morto. E distruttivo come il colpo di una pala in mezzo alla fronte.
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Ma Lena crede ancora in un domani? Intanto non vive più in quel passato confuso e perverso che l’ha vista minuta e violata in ogni modo possibile.
Ci può essere un futuro dentro un bar di ubriaconi e disadattati? Ci deve essere per forza all’orizzonte un futuro oppure si può anche accontentarsi di un presente a tratti ostile ma mai annoiato?
Il Grido è un microcosmo bislacco e perfetto che ruota attorno ai bassifondi di una metropoli spenta.
Le emozioni si susseguono senza far neppure riprendere il fiato. Una fioca felicità si accende in una campana di tristezza. Tutto è illuminato da un grigio acceso. Quei bassifondi che ammiriamo e detestiamo stimolano una storia che ferma i pensieri. Li blocca in un’attenzione costante per le vicende di Lena. Una donna, all’apparenza sola, ma che in fondo mantiene una solida corteccia sociale. Forse un pò strampalata, ma viva, anzi, vivissima.
IL GRIDO – CHIARELETTERE – 2018
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