Recensione di Il Sacrificio Dei Pedoni – G. R. Manzoni

Recensione di Il Sacrificio Dei Pedoni – G. R. Manzoni

Il Sacrificio Dei Pedoni, una citazione:

“Quindi che forse abbia avuto più la volontà di trasgredire che il desiderio di farlo? Credo di sì, credo che buona parte della mia vita, da quei giorni a oggi, sia stato più un atto di volontà che un vero amore per l’ignoto… soprattutto: per il mio ignoto. Ho sempre salvato una parte di me, mai mi sono gettato per intero nell’abisso della passione, anche se ho pensato che in quella dimensione non esistesse uno più suggestionabile di me. Ma m’illudevo, come poi tanti altri si sono illusi di essere delle rarità.”

Nel 1977 la variegata gioventù alternativa di Bologna aderisce in massa al Movimento. Intanto all’università la contestazione si fa sempre più dura e il DAMS è uno dei nuclei caldi, frequentato da personaggi poi divenuti miti della controcultura giovanile come Andrea Pazienza, Pier Vittorio Tondelli, Freak Antoni, Carlo Mazzacurati, Francesca Alinovi: tutti “compagni di strada” di Gian Ruggero Manzoni, detto “il Conte”.

Il Conte e l’amico Maurone, sodali inseparabili, incontrano compagni di lotta in giro per l’Italia mentre sono in fuga, dormono dove capita, si battono senza risparmiarsi con pugni e coltello, amano senza pregiudizi, non si piegano alle convenzioni, nemmeno in seno alla propria famiglia.

Solo che per il Conte le teorie degli altri cominciano a stridere e i comportamenti a sembrare solo teatro, finché il 10 marzo lui e Mauro, armati, vengono bloccati dopo una grande manifestazione di piazza da una Squadra Speciale del Ministero dell’Interno, e inizia per loro un’odissea folle.

Questa autobiografia è il primo atto di un’avventura – tra il militante, il militare e, financo, il criminale – poi proseguita per altri venticinque anni, in parte già romanzata da Pier Paolo Giannubilo ne “Il risolutore”.

Uno che avresti potuto incontrare al bar insieme a Majakovskij o in un duello con Malaparte, uno che a ragion veduta può definirsi il Limonov italiano, Gian Ruggero Manzoni, artista figurativo riconosciuto, è teorico, fondatore di riviste, compagno di via di Pier Vittorio Tondelli, collaboratore di Edoardo Sanguineti e Achille Bonito Oliva, eroe della Biennale di Venezia del 1984, fondatore di avanguardie che durano l’arco di una cena o di una vita e, soprattutto, romanziere, poeta. Autore di romanzi vocati a narrare i perduti e gli assoluti (Caneserpente, il Saggiatore, 1993; Il Morbo, Diabasis, 2002; Acufeni, Guaraldi, 2014), Gian Ruggero Manzoni è uno dei rari maestri italiani. Un ‘cattivo’ maestro.

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Non è facile restituire il senso di quel periodo di confusione post sessantottina, così fitto di suggestioni – “nell’aria girava un caravanserraglio di cascami ideologici e ideali nobili, vitalismi ignoranti e desideranti, scontri generazionali, mitologie operaiste e culture hippy, erotismo, arte di arrangiarsi, droghe e “vin canchero”, psichedelie, spinte libertarie, nostalgie totalitarie, incontri speciali, teatro, musica, cinema, letteratura, pittura, fotografia, regressioni infantili, impulsi rivoluzionari” – eppure Manzoni riesce mirabilmente a trascinare il lettore nei suoi ricordi.

Il Sacrificio Dei Pedoni ci consegna il ritratto di una gioventù della seconda metà degli anni Settanta, ormai lontana, distante anni luce da quella odierna: per gli ideali, per l’impegno o il disimpegno politico, per la passione, per il linguaggio, per la vitalità, distruttiva o produttiva, che dovrebbe per lignaggio appartenerle.

Ma il libro ci racconta anche di un’Italia palpitante e tagliente che non c’è più, in cui i giovani che volevano cambiare il mondo sono stati immolati alla ragion di stato come i pedoni che si mandano avanti sulla scacchiera.

Un sacrificio che nella grande e ingarbugliata tela del Novecento, però, non ha portato vantaggi. Anzi.

D’altronde, lo diceva già Louis Ferdinand Céline che è un cazzo fritto, la vita.

IL SACRIFICIO DEI PEDONI – CASTELVECCHI – 2020

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