Che ruolo ha oggi il dolore nella vita di un essere umano? Buyung-Chul Han nel suo saggio La Società Senza Dolore parte da questa domanda. Arrivando via via a conclusioni sempre più estreme.
L’epoca odierna con l’affermarsi della ricerca della felicità a tutti i costi e “nell’eccesso di positività” ha visto una riduzione costante, forzata e voluta del dolore. O meglio delle sue conseguenze e del suo viverlo.
Relegandolo a un ruolo marginale o spettacolarizzato, banalizzandolo.
Su un piano macroscopico il dolore affonda le sue radici nella vera essenza dell’umano. Permette la conoscenza e la riabilitazione delle emozioni.
Nel momento in cui lo neghiamo. Non viviamo. Non moriamo. Sopravviviamo.
A suffragio della sua tesi, capitolo dopo capitolo, il filosofo contemporaneo analizza molte delle tappe del pensiero psicologico e filosofico che vedono nella ricerca assoluta dello stare bene, del mostrarsi “resilienti”, dell’essere performante, un chiaro abbattimento del sé. Una non vita.
In La società Senza Dolore esploriamo, anche attraverso le idee di altri pensatori tra i quali: Heidegger, Nietzsche, Adorno il concetto stesso di “dolore” come realtà. Non come ciò che appare ma ciò che è. Dialettica, ontologia ed etica del dolore sono alcuni dei temi trattati.
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«La società palliativa coincide con la società prestazionale. Il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione. Esso non è compatibile con la performance. La passività della sofferenza non ha alcun posto nella società attiva dominata dal poter fare. Oggi il dolore viene privato di qualsiasi possibilità di espressione: viene condannato a tacere. La società palliativa non permette di animare, verbalizzare il dolore facendone una passione.»
Pagina dopo pagina, attraverso un linguaggio asciutto e acuto entriamo nell’essenza profonda di questo scritto a tratti anche provocatorio e disturbante. Meno il dolore sarà presente nella vita e più saremo schiavi dei condizionamenti e dei modelli imperanti. Più “l’ inferno dell’uguale”, come Han definisce l’appiattimento a cui sembriamo destinati, avanzerà.
Mi piace pensare che ogni condizione di sofferenza, nonostante tutto, resti e sia una grande incubatrice di arte, passione, vita e di amore.
E per questo trovo giusto terminare questa recensione con una frase tratta da un’ intervista allo stesso Buyung-Chul Han. Una riflessione che riporta indirettamente al tema del suo saggio.
LA SOCIETÁ SENZA DOLORE – EINAUDI – 2021
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