La Solitudine Del Sovversivo è l’opera autobiografica di Marco Bechis.
Siamo alla fine degli anni ’70 in Argentina, la democrazia ormai è al collasso e da lì a poco si instaurerà una delle dittature militari più sanguinarie al mondo.
La capacità dell’autore è quella di raccontare la storia di un dramma collettivo, di una generazione spazzata quasi totalmente via e la sua storia personale di sopravvissuto.
E lo fa ripercorrendo prima i suoi anni più spensierati e poi quelli, più adulti, della consapevolezza.
Nei primi capitoli de La Solitudine Del Sovversivo Bechis è un giovane adolescente. Proviene da una famiglia abbiente. La madre è cilena e il padre italiano. Ha la possibilità di condurre una vita agiata e di viaggiare con facilità, grazie alla doppia cittadinanza.
Inizialmente ha una percezione lontana di quanto sta per abbattersi sul paese. Studia, si innamora come qualsiasi ragazzo della sua età.
Pagina dopo pagina cresce la cognizione dei fatti. Il potere militare si insinua e si afferma. Iniziano a essere arrestati e poi sparire i primi intellettuali, giornalisti, rappresentanti politici e sindacali.
E poi studenti, giovani e chiunque venisse anche solo percepito come dissidente… è solo l’inizio della fine.
Andando avanti nel suo racconto, Bechis, non è più l’adolescente ignaro di buona famiglia, ma è un uomo conscio della guerra sporca che sta avvenendo in Argentina. In questa fase si avvicina al movimento di opposizione dei Montoneros e a causa di questo da lì a breve la polizia segreta lo cattura. Ha solo vent’anni.
In La Solitudine Del Sovversivo abbiamo una percezione razionale della strategia del nuovo apparato politico. Le gerarchie militari, per non compromettere i rapporti internazionali, si muovono su più livelli di propaganda. Di fronte all’opinione pubblica mondiale si mostrano come protettori di uno “stato politicamente compatto” ma “rispettoso” dei diritti umani.
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Ma è sottoterra che l’anima nera del potere assume le sue vere sembianze. È nel “mondo di sotto” infatti che esistono carceri clandestine. Luoghi di morte dove vengono consegnati i prigionieri “bersagli sensibili” e da cui quasi sempre nessuno esce vivo.
Dopo aver vissuto sevizie, interrogatori violenti e manipolatori Bechis si salva, grazie all’intervento della sua famiglia.
Sopravvivere ai suoi aguzzini per Bechis è il marchio della colpa. Un peso da portare.
L’autore, ce lo fa intendere, testimoniando come abbia trascorso, gran parte della sua esistenza, a convivere con il torto di essere un usurpatore e un traditore. Cercando risposte, tenendo a bada le ombre e i fantasmi, attraverso la sua carriera di regista e il suo percorso artistico.
“La mia pelle muta sempre, sono l’eroe e nel contempo il traditore, porto incisa nell’anima una ferita profonda per tutto quello che non è successo e mi poteva succedere e per tutto quello che invece è successo a migliaia di altri. Se io sono qui ancora a parlare, vuol dire che tutti gli altri sono morti.”
Sarà forse la stesura di quest’opera, la partecipazione al Processo contro la Giunta Militare del 2010, la rielaborazione dei fatti a liberarlo. Questa volta del tutto.
Leggendo questo libro, ma anche in altre occasioni di studio e film visti sull’argomento, mi sono chiesta cosa avrei fatto io in una situazione simile. A soli vent’anni. Sarei stata una vittima? Avrei tradito oppure lottato?…
“Chi sono io, qui e ora? Uno che non parla e morirà attraversato dalle scariche elettriche oppure uno che diventerà un docile animaletto? Un eroe o un traditore?”
LA SOLITUDINE DEL SOVVERSIVO – GUANDA – 2021
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