L’Arresto, una citazione:
“L’Arresto distruggeva ciò che si dava per scontato. Restringeva il mondo, il cerchio delle cose conosciute.”
L’Arresto non è un romanzo post-apocalittico.
Non è una distopia, né un’utopia.
In un futuro non troppo lontano, il mondo è stato colpito dall’Arresto, una misteriosa calamità per cui i mezzi di trasporto e le reti di comunicazione, i computer, gli elettrodomestici e persino le armi hanno smesso di funzionare.
In quel futuro la modernità è in pausa, la linea del progresso è interrotta.
Alexander Duplessis, detto Sandy, ex sceneggiatore di Los Angeles, è rimasto bloccato nella penisola del Maine dove la sorella Maddy gestisce una fattoria biologica che permette alla comunità locale di sopravvivere, versando un tributo ai motociclisti del Cordone che presidiano i confini della regione.
L’arrivo di un vecchio amico di Sandy, il produttore Peter Todbaum, con un poderoso mezzo a propulsione atomica e i racconti del suo viaggio on the road apocalittico attraverso gli USA rompono gli equilibri e tornano a insinuare l’idea di una possibile evoluzione nella collettività.
Ma il Cordone esige che il nuovo mezzo venga subito consegnato e la comunità precipita nello scompiglio.
Tuttavia non si tratta solo di reinterpretare la natura dell’Arresto, la verità di quanto accaduto, con gli occhi dell’ultimo arrivato Todbaum, ma di decidere se e come sviluppare il potenziale tecnologico che la sua supermacchina ha messo nuovamente a disposizione dell’umanità.
L’Arresto è il racconto di un mondo è tornato all’età della pietra. Il tempo si è fermato. Tutti sono rimasti bloccati nel posto in cui si trovavano.
Le nazioni si sono disgregate e le persone non sanno cosa è accaduto nel resto del mondo.
Ogni fazzoletto di terra è diventato un Paese, autonomo e isolato, perché non esiste più alcun mezzo per comunicare o viaggiare a lunga distanza.
Un mondo resettato, in cui tutto è parziale, locale, incompleto, umano.
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L’Arresto è un divertissement in cui Jonathan Lethem gode ad intrattenere il lettore.
Lethem è figlio di Brooklyn, dei classici del cinema di fantascienza, della grande letteratura europea e della cultura hippy. È cresciuto leggendo Calvino e la Highsmith, Dostoevskij e Ray Bradbury.
Infatti c’è molto di Bradbury in questo libro, ma anche di Buzzati, perché sono tantissimi i riferimenti ed i rimandi letterari e filmici che ne segnano la cifra stilistica.
Lethem è ammiratore di Pynchon e DeLillo, dai quali ha tratto spasso e complessità, gusto per l’alto e il basso, citazionismo pop e prosa sontuosa.
Ne L’Arresto si avvale di linguaggio impeccabile, venato da un humour caustico, con cui sguazza nell’ironia e gioca con il pastiche.
Un libro che è un atto di nostalgia per i giorni in cui sia il futuro che la tecnologia apparivano rosei, latori di progresso.
Se stessimo vivendo uno dei futuri possibili che un tempo ci rendevano sgomenti, ne saremmo così avviluppati e saremmo così impegnati a essere noi stessi che nemmeno ce ne accorgeremmo?
Probabilmente sì.
Lo scenario post-apocalittico serve da cornice per descrivere, in modo tagliente e un po’ inquietante, un’umanità futura e confusa che assomiglia tanto alla nostra attuale, post pandemia.
Un’umanità in cerca di nuove risposte. ma bisogna portare pazienza.
Perché “Ciò che si dirige verso la tua città ci arriverà, prima o poi.”
L’ARRESTO – LA NAVE DI TESEO – 2021
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