Recensione di L’Isola Che Scompare – Fabrizio Pasanisi


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L’Isola che scompare. “Mari, laghi, fiumi, boschi, nuvole, vento, verde, blu, marrone, piante, rocce, fiori: Irlanda!”

Il testo di Fabrizio Pasanisi propone un giro in Irlanda attraverso gli occhi di alcuni dei poeti più rappresentativi dell’isola, in particolare James Joyce e William Butler Yeats: “Il viaggio è rivolto alla scoperta dell’Irlanda, e questo è ovvio; ma l’idea è anche quella di ricalcare in qualche modo le orme dei due autori più celebrati della cultura locale.”

È un avventurarsi pacato, maturo ma piacevole. Sembra di essere seduti accanto a questi due maledetti poeti. Odiati e amati dalla propria gente. Anzi, prima odiati e dopo quasi amati.

“E quanto tempo hanno impiegato gli irlandesi a comprendere che dalla propria terra potessero venir fuori, insieme alle patate e alla torba, anche geni, geni assoluti?”

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Si parte dal Sud, da Cork. Si sale verso le Cliff of Moher. Si arriva alla frizzante Galway. Si termina con Dublino. Il percorso è descritto vivacemente, offre spunti interessanti e aneddoti preziosi.

La vena poetica è una presenza costante, è un martello che risuona senza interruzioni nella testa del lettore. D’altronde, la poesia si sposa bene con il romanticismo del paesaggio raccontato: “Liberi noi, liberi loro, rendiamo grazie alla poesia, che ci restituisce intonsa la natura.”

Il panorama è quello mozzafiato, che toglie la parola. Solo chi ha viaggiato nell’isola verde può capire. Solo chi ha messo piede in questa incantevole terra.

L’Irlanda è qualcosa che ti entra dentro e rimane lì, ancorata per sempre.

“Pacatezza, amenità, piacevolezza, serenità, il mondo placido in cui ci siamo immersi dista anni luce dalle nevrotiche e affascinanti contraddizioni del paesaggio italiano.”

In L’Isola che scompare c’è un omaggio al mare, quel mare d’Irlanda così bello da lasciare a bocca aperta: “Siamo in Irlanda e l’Irlanda è un’isola: pioverà pure, farà anche freddo, ma il vero spettacolo è sul mare.”

Pasanisi nell’analizzare minuziosamente il paesaggio celebra con sincerità la gente irlandese. Gente con la scorza dura, gente vera. Gente di Dublino, come direbbe Joyce. O della costa, della campagna. Chissà.

“Vita semplice, vita dura, quella che va affrontata rimboccandosi le maniche, senza troppi perché.”

La narrazione scorre continua e rievoca con scrupolosità opere come Finnegans Wake o Ulisse.

L’Irlandese è allegro, spiritoso. Persino sfacciato. Per un turista alla ricerca “dell’irlandesità” affacciarsi in un pub può tramutarsi in un’esperienza mistica. Il bancone potrebbe diventare la sua prigione dove trascorrere ore e ore a bere. Magari anche gratis.

E a parlare. Qualora un’irlandese lo permettesse: “Quando si riflette sull’Irlanda, non si può prescindere dai suoni che evoca, e dalle sue voci. Dal gaelico, in primo luogo, così pieno di consonanti, di echi, di vibrazioni; ma soprattutto dal flusso continuo di parole che esce dalla bocca della gente.”

Perché, “Essi amano come pochi altri popoli parlare, raccontare, e attraverso il racconto sedurre l’interlocutore.”

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L’Irlanda che scompare è una condivisione di emozioni, è spartire le sensazioni che ti offre un viaggio. Sensazioni buone. Come assaporare una birra: “Ma quella bella stout, forte, saporita, dicono sia un tonico efficace. Di certo scende giù bene, dà piacere, mette allegria, quella cui non è difficile abbandonarsi.”

Cosa penserebbero oggi i vari Joyce, Yeats, Beckett, Wilde? Cosa penserebbero di Temple Bar del XXI secolo, del Trinity College dei giorni nostri, del Blarney Castel ai tempi della Brexit?

Una cosa è certa.

“…il viaggiatore vivrà l’emozione di ritrovarsi in un luogo dove la vita continua a seguire il ritmo il sole, dove il vento resta il vero signore, dove il mare è la sola risorsa, amico e nemico, quella con cui l’occhio, la mente, il cuore devono di continuo confrontarsi, quella a cui il corpo invoca clemenza.”

L’ISOLA CHE SCOMPARE – NUTRIMENTI – 2014

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