Niente Di Vero o al contrario talmente “di” Veronica Raimo da farne uno scritto autobiografico. Quest’ultimo suo romanzo appare come un monologo interiore, spiazzante, dal “forte sapore” ironico e sincero. Molto sincero.
Un flusso di coscienza, privo di sofismi, che arriva al nocciolo della questione. E quale sarebbe il nocciolo? I ricordi.
Ricordi familiari buffi e “disonesti”. Situazioni ancestrali che sono diventate nel tempo “le vive marionette” dell’ esistenza della protagonista. Ma a ben vedere, anche della nostra. L’ immedesimazione è dietro l’ angolo.
E così che in Niente Di Vero veniamo felicemente catapultati in una storia familiare.
Veronica, romana, classe 1978, si trova ad avere sin dall’ infanzia un’ esistenza “quasi” simpaticamente distopica. La madre è una donna ansiosa che non perde mai il vizio, sia nell’ era del telefono sia in quella del cellulare, di voler rintracciare i propri figli. Il padre vive con l’ abitudine di controllare ogni aspetto della vita dei suoi cari. Ma a modo suo. Con manie igieniche fuori dal comune e con l’idea di erigere fisicamente quanti più muri possibili nel proprio appartamento.
E poi il fratello con cui ha un rapporto sin da piccola di “reciproca mutua assistenza”. Con cui costruisce un accordo, perlomeno fruttuoso inizialmente: cercare di planare nella vita. E non di irrompere come due bambini qualsiasi.
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«Grazie alla ferrea educazione dei miei genitori, né io né mio fratello abbiamo mai imparato a fare quelle cose spericolate come nuotare, andare in bicicletta, pattinare. saltare alla corda (era un attimo annegare, spaccarsi il cranio, rompersi una gamba, finire impiccati). Abbiamo passato l ‘infanzia chiusi dentro casa a romperci le palle. Era un’ attività talmente intensa che presto divenne una posa esistenziale. Sapevamo annoiarci come nessun altro.»
Niente Di Vero offre il ritratto di una famiglia “normale” ma che a guardarla bene, da vicino, mostra sempre di più delle ombre di “simpatica” follia.
Pagina dopo pagina entriamo nell’ anima di questi personaggi, nei giorni, nei mesi, negli anni che scorrono. E che si portano via prima amori, vacanze mai fatte, estati terrificanti in Puglia, studi liceali, universitari, viaggi, stranezze. Scoperte, lotte, sconfitte. Che si portano via, a volte, anche molto di più. E che lasciano in eredità una grande consapevolezza.
Niente Di Vero semplicemente va letto perché è come un ciclo di psicoanalisi completo. Nel “disagio intelligente”, che spesso bussa alla porta della protagonista, non resta che rispecchiarsi. Così come in tutte quelle fantasie storte, in tutti quei momenti sospesi. In tutta quell’ ironia e malinconia.
«Nella mia vita non vedo mai il bicchiere mezzo pieno. Nemmeno mezzo vuoto. Lo vedo sempre sul punto di rovesciarsi. Oppure non lo vedo proprio. Non c’è nessun bicchiere. Non c’è niente. Sono di fronte a un tavolino brutto e sopra il nulla. Potrebbe sparire anche il tavolino. Anzi, è già sparito. Non mi resta l’ assenza, ma la perplessità. Scusate, non mi ricordo più. Cos’ è che dovevo vedere?»
NIENTE DI VERO – EINAUDI – 2022
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