Qui Belfast. Una raccolta di articoli e di testimonianze che raccontano la situazione nell’Irlanda del Nord dei “Troubles”. Un’Irlanda raccontata da dentro, dai protagonisti.
L’autrice, Silvia Calamati, ha dato voce a chi non l’ha mai avuta.
Ha raccolto la denuncia delle violazioni commesse da chi avrebbe dovuto garantire la sicurezza del paese.
“Cosa devo dire alla mia bambina? Che i nostri vicini protestanti hanno deciso che lei è una cittadina di seconda classe e d’ora in poi dovrò andare a scuola entrando dalla porta sul retro?”
Lo scenario è l’Irlanda, l’Irlanda del Nord per la precisione. Terra di druidi, di Celti, di brughiere e di birra. Ma anche terra di un conflitto che chiude questa splendida isola in una sorta di colonialismo contemporaneo.
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Nazionalisti contro lealisti, cattolici contro protestanti. Una lotta che va avanti da secoli, legittimata (per la comunità lealista) dalla vittoria del 12 luglio del 1690 di Guglielmo d’Orange su Giacomo II.
Attraverso una serie di articoli, Qui Belfast ci riporta le voci di uomini, di donne, di madri, di famiglie spezzate.
Sono voci di sofferenza, rotte da pianti e singhiozzi ma che umilmente rappresentano la forza e l’orgoglio di chi non vuole piegarsi alla prepotenza dell’oppressore.
“In Irlanda del Nord i gruppi paramilitari lealisti riescono ad ammazzarti anche se sei ancora vivo”.
Sono testimonianze che concedono la luce dei riflettori a questa terra, dove si muore a causa dei proiettili di gomma e di plastica. Dove si assiste ad una crescente militarizzazione del territorio: “Credo che i soldati vengano istruiti a tracciarci come se non fossimo degli esseri umani”.
D’altronde, L’Irlanda del Nord registra il più alto record di violazione dei diritti umani di tutta Europa.
Nel testo di Calamati emergono storie di violenze carcerarie (“Mi chiamo Karen. Vi racconto come mi hanno torturata”). Storie di ragazzi innocenti costretti a firmare con forza autoaccuse preparate dalla polizia (“La voce degli innocenti nelle galere di Sua Maestà”).
E poi ancora storie di ordinaria follia (“Hanno sparato per uccidermi”). Storie di collusioni tra gruppi paramilitari lealisti e forze di sicurezza (“Il caso di Brian Nelson”).
Poi c’è la terribile pratica dello “shoot-to-kill” portata avanti dallo Stato come strumento di terrore (“Shoot-to-kill. Parola d’ordine: sparare per uccidere”).
Con Qui Belfast emergono i retroscena sulla morte degli avvocati Rosemary Nelson e di Pat Finucane, uccisi dagli squadroni della morte lealisti in collaborazione con le forze di sicurezza britanniche.
Il lettore non riesce a rimanere indifferente di fronte alle denunce della violenza e al silenzio assordante che troppo spesso ha accompagnato “la questione irlandese”.
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Qui Belfast si ferma al 2012 ma risulta dannatamente attuale. Ad oggi, l’esercito britannico ha lasciato le strade dell’Irlanda del Nord ma il degrado dei quartieri e i soprusi permangono. Rimane la difficoltà a trovare un’occupazione stabile e la ricerca di una stabilità è pura utopia.
Sono passati 40 anni dagli scioperi della fame nelle carceri irlandesi.
23 anni dall’Accordo del Venerdì Santo che sancisce il processo di pace in Irlanda del Nord.
Un Accordo che ha anche innescato malumori all’interno della comunità nazionalista. Ha visto il proliferare di nuovi gruppi armati pronti a tutto pur di giungere al sogno di un’Irlanda unita.
La stretta di mano del 2007 tra la Regina Elisabetta e Martin McGuinness, ex comandante dell’IRA, ha portato effettivamente a qualcosa?
Se, come dice Calamati, “L’Irlanda del Nord non ha bisogno di una pace armata, bensì di una pace con giustizia” perché gli abitanti dei quartieri nazionalisti In Irlanda del Nord posseggono ancora il tesserino da cittadini di serie B?
Forse qualcuno aveva ragione quando sosteneva che “L’Irlanda del Nord fu ideato come “stato protestante per gente protestante”.
QUI BELFAST – RED STAR PRESS – 2013
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