Santi E Bevitori, una citazione:
“L’alcol, mi chiedo mentre sto seduto lì, è una sostanza che separa la coscienza dalla vera sé stessa, e quindi dagli altri? Se è così, vuol dire che passiamo tutta la vita in uno stato di impercettibile falsità. Ma l’alcol crea la maschera oppure la strappa via?”
Per curare l’alcolismo c’è chi si fa ricoverare in una struttura specializzata, chi si affida a una terapia farmacologica, chi ancora pratica una ferrea astinenza.
Lawrence Osborne ha una ricetta più originale: intraprendere un viaggio nel mondo islamico per studiare come vivono gli astemi e scoprire se da loro si può imparare qualcosa.
L’esperienza sarà illuminante, temeraria e sempre irresistibilmente spassosa.
Accompagneremo Osborne a caccia di una birra a Surakarta, presidio indonesiano di al-Qaida, dove, sotto un ritratto di Osama bin Laden, un gruppo di studenti biancovestiti cercherà di convincerlo che l’alcol è «una malattia dell’anima».
A Mascate lo seguiremo nell’affannosa ricerca di una bottiglia di champagne per brindare al nuovo anno, mentre la sua vita di coppia sperimenta impreviste dinamiche dettate dalla sobrietà forzata.
Trepideremo per lui a Islamabad, quando si lancerà nella sconsiderata «avventura culturale» di ubriacarsi «in uno dei paesi più pericolosi e ostili all’alcol» della terra.
Ma, davanti a un bicchiere, tutto il mondo è incline al paradosso.
Prova ne sono le cosiddette dry towns del New Jersey o certi sobborghi inglesi, dove fino a pochi decenni fa la «cultura suburbana dell’alcol» era l’antidoto alla «cultura urbana della droga».
E al termine di questo rocambolesco tour ci apparirà lampante che lo scontro di civiltà tra Oriente e Occidente altro non è che il riflesso di due approcci diametralmente opposti alla vita.
Temperanza e sregolatezza, continenza e dissolutezza, con i loro paladini, astemi e bevitori, per sempre appaiati in uno spirito di reciproca incomprensione.
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Lawrence Osborne, erede accreditato di Graham Greene, lo avevamo già recensito Recensione di Il Regno Di Vetro – Lawrence Osborne.
Qui ci regala una epicurea ode all’alcol travestita da studio del concetto di sobrietà nel mondo islamico, ovvero un viaggio alcolico in terre astemie. Ma è sempre stato così?
“Nel Corano l’alcol viene menzionato solo tre volte e il suo consumo, seppur deplorato, non sempre è esplicitamente proibito. L’ostilità al vino è netta, ma non sembra veemente. È l’ubriachezza, più che l’alcol in sé, a destare l’ira del Profeta.”
Il suo viaggio diviene un pellegrinaggio nei bar degli hotel di lusso per occidentali – che assurgono a palcoscenico ed espediente per descrivere Paesi e storie diverse – in grado di offrire riflessioni mai scontate.
Il racconto, più faceto che serio, di due differenti visioni della società e del mondo.
In Santi E Bevitori non mancano parti, anche malinconiche, che sono vero e proprio memoir, una lingua sempre tagliente e uno stream of consciousness – facilitato dalle dosi alcoliche sempre generose – che si mischia ad una arguzia tipicamente britannica.
“Il bevitore è un dionisiaco, un danzatore seduto, un burlone. Non ha bisogno della serietà né della stima. Gli basta un po’ di musica sommessa e una dolce libertà concessa dai sacerdoti.”
Bevitori e astemi non si capiranno mai vicendevolmente, ma forse gli uni sono necessari agli altri.
Osborne è un il po’ un Chatwin dei bar, che diverte il lettore e sé stesso, contrapponendo l’ordine della mente alla complessità del mondo.
Come si fa a non amarlo?
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