Storia Del Panino Italiano di Alberto Capatti – Recensione


Storia Del Panino Italiano Recensioni

Storia Del Panino Italiano, una citazione:

“Osservando la geografia gastronomica degli States, i nomi dei panini hanno attirato toponimi francesi, tedeschi e italiani, e figurano come emblemi delle singole città. Stromboli è tipico di Philadelphia, ed è un calzone di pasta di pizza con salame e mozzarella. La muffuletta è la specialità di New Orleans, pane tondo farcito con prosciutto, mortadella, salame, formaggio e olive. Entrambi attestano l’origine italiana di un flusso migratorio e contribuiscono a creare la nuova identità americana.”

In principio è un tozzo di pane accompagnato da una cipolla, se si è fortunati da una fetta di mortadella:una novità per i contadini che, prima di immigrare nelle città, mangiavano tutti i giorni la polenta.

Poi dall’Inghilterra arriva il sandwich, due fette di pane prive di crosta intervallate da carne fredda e formaggio: servito nei buffet delle feste e dei balli, è accolto da ristoranti di hotel lussuosi e morsicato da gente perbene.

Approda nella cucina di casa con Pellegrino Artusi, che suggerisce di imbottirlo con una fettina di prosciutto cotto o di lingua salata.

Negli anni Trenta del Novecento si assisterà al tentativo “autarchico” di italianizzare il nome in “traidue” di matrice futurista e “tramezzino”, coniato da D’Annunzio.

Ma il panino resiste, come evoluzione di certi popolari cibi da strada, come comodo pasto da picnic o golosa merenda per i bambini.

Il panino – termine recepito dai dizionari ottocenteschi nel significato di “piccolo pane ripieno” – ha una storia connotata da consumi socialmente differenziati, rappresentativo di una società stratificata.

Evolve e si trasforma, assumendo connotazioni nazionaliste ai tempi del fascismo, profondamente liberiste nel secondo dopoguerra, con il boom economico.

A partire dagli anni Settanta si osserva un’inversione di tendenza: il panino assorbe via via tutti i valori del sistema alimentare e ne rappresenta un elemento base, sempre meno dipendente da fasce orarie, ritmi nutritivi, rituali di consumo.

Sulla scena milanese irrompono i paninari, che faranno del panino uno strumento simbolico di socialità giovanile.

Poi arriveranno gli hamburger, ma anche l’Accademia del panino italiano.

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Alberto Capatti, noto storico della gastronomia italiana, è nato nel 1944 ed è stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione, ha diretto il mensile La Gola e il periodico Slow Food, ed è inoltre presidente della Fondazione Marchesi.

Anni dopo Recensione di Piccolo Atlante Dei Cibi Perduti – Alberto Capatti, Capatti racconta il Belpaese con Storia Del Panino Italiano, un’epopea che parte dall’usanza popolare del panino come pranzo durante il lavoro sia nei campi sia in fabbrica, prosegue con i tramezzini e tutte le loro fogge, passa per l’avvento del fast food e termina con il panino “gourmet”.

Migliaia di pani diversi, migliaia di ingredienti e combinazioni differenti offrono un excursus senza pari, che incrocia la storia d’Italia e dei suoi cibi, esattamente come i piatti tradizionali presenti in ben più “nobili” ricettari.

Anche l’italianità del panino di cui ci racconta Capatti non è tanto una rivendicazione di paternità o di qualche primato nel campo, ma rappresenta il desiderio di concentrarsi sull’analisi di prodotti italiani riconosciuti.

Partendo dal pane e dalle sue forme e caratteristiche regionali per arrivare poi al contenuto posto tra le due fette. Il companatico, infatti, è sempre stato l’indicatore del ceto di chi mangiava il panino.

È curioso che scrittori, accademici e gastronomi non abbiano mai affrontato l’argomento nei termini leggeri ma rigorosi con cui lo fa Capatti.

Percorrere questo viaggio nel tempo ci permette di pensare ai significati che potremmo dare tutte le volte che diciamo con noncuranza: «Mangio solo un panino».

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