Vite Minuscole di Pierre Michon – Recensione


Vite Minuscole Recensioni

Vite Minuscole, una citazione:

“Possa uno stile appropriato aver rallentato la loro caduta: la Mia sarà forse più lenta; possa la mia mano aver dato loro la facoltà di aderire nell’aria a una fugacissima forma dalla mia sola tensione creata; possano prostrandomi aver vissuto, in modo più autentico di come viviamo noi, quelli che a malapena furono e così poco tornano ad essere.”

Vite Minuscole esce in Francia nel 1984.

È il primo libro di uno scrittore ignoto al milieu letterario, ma è subito chiaro che si tratta di un esordio folgorante.

Recuperando una tradizione che risale a Plutarco e all’agiografia, Michon ci racconta le vite di personaggi non già illustri o esemplari, ma, appunto, minuscoli.

Dunque votati all’oblio se non intervenisse a riscattarli una lingua sontuosa, di inusitata e abbagliante bellezza, capace di «trasformare la carne morta in testo e la sconfitta in oro».

Dufourneau è un omaccione che si svincola dalla sua vita predestinata di contadino e decide di partire per l’Africa: “Tornerò ricco o morirò laggiù”. I litigiosi fratelli Bakroot, compagni di collegio dell’autore, “non avevano niente di speciale: eppure era lì, tra le gambe indaffarate di una coppia di contadini come mille altri, che si era innescata chissà in che modo quella rivalità esclusiva”. I due si scambiano botte di continuo, ma alla fine sarà un gesto particolare a restituire alla vita il suo senso alto e tragico. Pére Foucault, in una corsia d’ospedale, non vuole curarsi dal cancro perché – se ne vergogna e infine lo confessa – è analfabeta. Padre Bandy è ridotto a una caricatura di sacerdote, ma la sua sconfitta non deriva dall’avere peccato con molte donne, tutt’altro.

Santi o perdenti, paradigmi o catastrofici avatar del narratore, ciascuno di questi personaggi ha in qualche modo ordito il suo destino, istigato un’irreparabile lontananza, fomentato la convinzione che solo nella più inattingibile letteratura c’è salvezza.

Pierre Michon, classe 1945, è uno scrittore francese. Ha studiato lettere e si è laureato con una tesi su Antonin Artaud. Vite Minuscole, suo primo romanzo, è considerato una pietra miliare della letteratura contemporanea francese.

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La stesura di Vite Minuscole, dal 1981 al 1984, è una svolta fondamentale nella vita di questo scrittore cresciuto in un ambiente rurale, figlio di una coppia di maestri elementari, con lo scopo di ridare voce alle umili e ormai dimenticate figure della sua infanzia.

Il titolo di questo breve capolavoro è errato perché quelle vite possiedono qualcosa di raro, la grandezza.

Grandezza del tempo che le inghiotte, delle oscure file di antenati che riemergono per poi scomparire.

Personaggi indimenticabili nel breve lampo in cui spuntano dalla narrazione, come un viso appare per un istante nella luce della lanterna che illumina fiocamente una stanza.

Generazioni si confondono, nel trapassare di volti, ricordi, sorrisi e solitudini, ognuna tuttavia stagliata per sempre, unica e insostituibile.

Ognuno dei racconti che compongono il libro ricostruisce, in modo congetturale e fantasioso, la biografia di un personaggio che Michon ha conosciuto o di cui ha sentito parlare nell’infanzia o in giovinezza.

Non vi sono intenti sociologici né arcadizzanti, ma la volontà di riportare in vita un insieme di personaggi legati a ricordi giovanili, di ridare dignità ed una sorta di immortalità a esistenze normali, come le nostre.

Ma è la parte d’ombra e di mistero di queste vite a trasformarle in leggenda.

Come Perfect Days di Wenders, al cinema, ci ha ricordato il bagliore dei piccoli gesti quotidiani, Michon, novello monaco amanuense, con una prosa quasi pittorica sottrae all’oblio esistenze che non passeranno mai alla storia.

La letteratura, oltre che spada, può essere scudo, un riparo che protegge la piccola grandeur di esistenze qualunque, che si tramandano grazie alla parola scritta.

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VITE MINUSCOLE – ADELPHI – 2023

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