Chiudo La Porta E Urlo, una citazione:
“Baldini ha vissuto più di metà della sua vita a Milano, ma quando scriveva, intorno c’erano due cose: Santarcangelo, e l’universo.”
Raffaello Baldini è un grande poeta eppure pochi sanno chi è, e di quei pochi pochissimi ne hanno riconosciuto la voce.
Perché scrive nel bel dialetto di Sant’Arcangelo di Romagna? Ma no. Paolo Nori ci rammenta che è un poeta enorme anche nel bell’italiano con cui ha sempre tradotto a piè di pagina i suoi versi.
E quante storie si trascinano appresso quei versi, quante immagini suscitano, quanti personaggi, quanto universo c’è in quel mondo apparentemente minuscolo.
Come sua consuetudine, Paolo Nori attraversa l’avventura poetica di Baldini quasi come non ci fosse altro intorno, facendosi filtro di una bellezza che sgorga come acqua e che fa paura, perché ci lascia straniti.
Ecco che – non diversamente da quanto è già accaduto con Dostoevskji e Achmatova – l’immaginazione di Baldini si scioglie dentro quella di Nori, fatta com’è di caratteri e di accadimenti apparentemente minimi: i morti che “non dicono niente e sanno tutto”, gli uomini che invece di calarsi gli anni se li crescono, lo stare lì di una donna davanti alla circonvallazione per guardare “che passa il mondo”.
Fra spinte e controspinte, fra il “cominciamo pure” e il “continuiamo pure” che si rincorrono a battere il ritmo, impariamo che, sempre più, la scrittura di Nori è la messa a fuoco progressiva di un carattere, il suo.
Il suo essere “coglione”, il suo essere “bastiancontrario”, il suo essere “matto come un russo”, il suo essere innamorato di un poeta come Raffaello Baldini, il suo stare a vedere la vita come va avanti a ogni svolta imprevista dell’esistenza.
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Paolo Nori (Parma, 1963) è laureato in letteratura russa, ha pubblicato diversi romanzi e saggi e di lui avevamo già letto Recensione di Sanguina Ancora – Paolo Nori.
Anche in Chiudo La Porta E Urlo Paolo Nori con il suo caratteristico registro mischia vita e letteratura, e la poesia diviene racconto personale.
Il gioco di specchi tra le poesie di Raffaello Baldini e l’autobiografia dello scrittore sessantenne si frantuma in taglienti schegge narrative.
Parafrasando Barthes, frammenti di un racconto umoroso – curioso, pensoso, a tratti furioso, in altri umbratile – sul senso della vita e della letteratura.
Tanti tasselli di un mosaico il cui disegno complessivo s’intuisce solo visto da lontano, oltre la siepe dei ricordi. “Io mi ricordo tutto”. E dunque memoriale degli affetti e delle letture.
La doppia anima delle poesie di Baldini – scritte in romagnolo e da lui stesso tradotte in italiano – riflessa in una lingua “parlata” che del dialetto trattiene l’intimo ritmo, il calore, le cadenze interiori. La lingua di Baldini è quella di un posto geografico ma, prima di tutto, affettivo.
Chiudo La Porta E Urlo è un romanzo così allegro e disperato che non sembra neanche un romanzo.
È un atto di fede nella letteratura che fa ridere, pensare, sognare, commuovere.
Il carattere taumaturgico di parole che si fanno carne, rifugio, focolare.
Forse è questo il fine ultimo della letteratura, pur in mille marasmi indicarci il modo di stare al mondo.
“.. una cosa che mi piace, di Tolstoj, di Dostoevskij, di Anna Achmatova, di Raffaello Bandini, della letteratura, è il fatto che mi fanno vedere le cose che sono in casa mia, che mi circondano, come se le vedessi per la prima volta, non rendono visibile l’invisibile, rendono visibile il visibile.”
Quel mondo che potrà essere salvato dalla bellezza. Perché solo lei è la nostra ancora ed il nostro salvagente.
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CHIUDO LA PORTA E URLO – MONDADORI – 2024
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