L’Anna Che Verrà di Annalisa Menin – Recensione


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L’Anna Che Verrà è il nuovo libro di Annalisa Menin (gli altri li abbiamo recensiti QUI). Fa venire in mente quando in libreria scruti gli scaffali e tiri giù un libro dove tra le pagine subito ti ritrovi perché è umano e ti rimanda a emozioni e sensazioni e soprattutto storie che tutti noi viviamo nel quotidiano.

Non è un memoir, non è un diario, non è un romanzo in senso stretto. È una creatura strana, ibrida, ma necessaria.

In L’Anna Che Verrà Annalisa Menin nei primi capitoli oltre a crisi di panico che la rendono assolutamente umana, vive un dolore inaccettabile: la morte improvvisa del marito, a New York, quando la vita sembrava appena cominciata.

Ma non aspettatevi un libro da “zona di conforto”, o quelle storie che servono solo a ricordarti che si può sopravvivere a tutto. Questo libro non si accontenta di sopravvivere. Questo libro scava, dentro e fuori. Parla del dolore ma non per celebrarlo. Parla della perdita, ma senza cercare scuse. E soprattutto parla di un’identità che si frantuma per poi ricostruirsi con mani nuove. Mani impacciate, tremolanti, a volte rabbiose, ma vere.

Anna è il cuore narrante del libro, è insieme la donna che Annalisa era, quella che è diventata, e quella che forse sarà. Un prisma di sé. Non è una protagonista perfetta, non è una vedova esemplare, non è neppure una santa.

Ed è proprio per questo che le crediamo. Si arrabbia, si smarrisce, si incaponisce nel voler capire, nel voler dare un senso, mentre la vita intorno sembra pretendere una ripresa rapida, lineare, magari anche “instagrammabile”.

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Ma il lutto non è mai un percorso in discesa. È una lotta disordinata. Un accidenti sussurrato. Una domanda frettolosa senza però un’immediata risposta.

La scrittura della Menin è precisa, pulita, ma mai fredda. Ha quella chiarezza che solo chi è passato attraverso il dolore può permettersi. Ogni parola pesa, ma non appesantisce. È una prosa che non si vergogna dell’intimità, e che al tempo stesso si difende con un pudore che a volte commuove più delle lacrime.

Nessun sentimentalismo: solo sentimenti messi lì, nudi, come quando dopo una tempesta riapri le finestre e la luce fa male agli occhi, ma entra lo stesso.

E poi c’è New York. Non tanto come sfondo, ma come controparte narrativa. Una città che riflette e deforma. Una metropoli che può inghiottirti o salvarti. Anna ci cammina dentro, ci si perde e ci si nasconde, la maledice e la ringrazia.

In certi momenti sembra che la città le parli più delle persone. È anche questo che rende il libro universale: l’esperienza della perdita filtrata attraverso una città che non si ferma mai. Mentre tu, invece, sei inchiodata a un’assenza.

C’è una scena che resta. Non per forza la più drammatica, ma quella in cui Anna, dopo aver affrontato l’ennesima giornata fatta di silenzi interrotti solo da frasi di circostanza, decide di tagliarsi i capelli. È un gesto minimo, banale, ma lì dentro c’è tutto: il rifiuto di restare fermi, la rabbia muta, il desiderio di riconoscersi in uno specchio che restituisce un’altra. È uno dei tanti momenti in cui Annalisa riesce a raccontare la trasformazione senza proclamarla. Nessuna fenice. Solo una donna che prova a sopravvivere al giorno dopo.

E allora, chi è L’Anna Che Verrà? Forse nessuna. Forse tutte. Forse, come capita a chi ha perso qualcuno davvero, Anna è il tentativo quotidiano di non scomparire. Di continuare ad amare sapendo che l’amore non basta. Di vivere anche quando il senso è rimasto indietro, in un’altra stanza, in un’altra voce, in un altro letto.

Non è un libro che consola. Ma è un libro che accompagna. E, a volte, è più che sufficiente. Perché c’è una verità che il mondo fatica ad accettare: non si torna mai davvero quelli di prima. E forse non è nemmeno necessario. L’Anna Che Verrà è per chi sa che vivere è anche imparare a portarsi dietro tutto ciò che ci ha spezzati. Non per glorificarlo. Ma per non dimenticare chi siamo diventati nel frattempo.

L’ANNA CHE VERRA’ – GIUNTI – 2025

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