C’è un momento preciso, leggendo Wisteria, in cui capisci che la storia non vuole semplicemente intrattenerti: vuole sedurti. E come ogni seduzione che si rispetti, non lo fa con la fretta, ma con l’arte del dettaglio.
Il profumo dei glicini, una porta chiusa a chiave, un sussurro in una sala vuota. Ti ritrovi dentro a un castello pieno di segreti, a camminare con i piedi nudi sulla moquette del mistero, mentre fuori – come sempre in certi romanzi – c’è una guerra che bussa senza troppa gentilezza.
Adalyn Grace, già nota per la duologia Belladonna, si conferma qui una narratrice dall’immaginario visivo, teatrale, gotico e sensuale. Ma stavolta l’equilibrio si fa più audace: Wisteria è una danza macabra travestita da storia d’amore. O forse è l’inverso.
Al centro, Signa. La ragazza con il dono – o la condanna – di percepire la morte come presenza viva, anzi come partner. Letteralmente. Già, perché in Wisteria l’elemento fantasy si fonde con l’eros in modo sottile ma costante. Non c’è niente di dichiaratamente osceno, eppure c’è una tensione perenne tra la ragazza e ciò che non si può possedere: la Morte stessa, qui figura maschile ambigua, affascinante e profondamente umana.
L’autrice gioca con questo rapporto in modo raffinato: non è una semplice metafora romantica, ma una riflessione camuffata da passione. Cosa significa amare ciò che, per natura, ci porta via tutto?
La scrittura della Grace è ipnotica senza essere barocca. Ti guida in saloni pieni di quadri, in giardini che sembrano congelati in un’eterna attesa, e soprattutto dentro la testa di una protagonista che non ha più voglia di essere la damigella in pericolo. Signa è cresciuta rispetto al primo romanzo, e Wisteria è, tra le righe, anche una storia di formazione: imparare a scegliere, a disilludersi senza cinismo, a convivere con la ferita senza trasformarla in un’arma.
Ma attenzione: non è un libro “già letto”. Nonostante l’impalcatura possa ricordare certe atmosfere à la Crimson Peak o certi triangoli da saga fantasy romantica, la Grace è brava a togliere il superfluo e a concentrarsi sul cuore pulsante della storia. La magia c’è, ma non sbrilluccica. Le relazioni sono intricate, ma non melodrammatiche. E soprattutto c’è una continua oscillazione tra luce e ombra, vita e morte, che rende Wisteria un romanzo sorprendentemente coerente, nonostante i suoi eccessi volutamente teatrali.
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I personaggi secondari meritano una menzione. Sylas, in particolare, è un esempio di come si possa scrivere un personaggio maschile tormentato senza scadere nel cliché. È devoto, ma anche inquieto. È fedele, ma non privo di ambiguità. In un’epoca in cui molte storie young adult si appoggiano su interessi amorosi intercambiabili, qui c’è qualcuno che resta impresso anche dopo l’ultima pagina. E lo stesso vale per Blythe, per Morte stessa – sempre in bilico tra figura ultraterrena e bisogno umano – e per il cast di presenze, vive e non, che abitano il palazzo di Thorn Grove come anime in attesa di un verdetto.
Tutto fila con canoni precisi. In alcuni passaggi la narrazione rallenta, e certe rivelazioni arrivano con l’effetto di una tenda che si alza in fretta rivelando l’inaspettato da un momento all’altro. Perché Wisteria è un libro che lavora di atmosfera, di pelle, di sguardi. È più importante come accadono le cose che cosa accade.
Alla fine, Wisteria non è una storia d’amore. È una storia sull’amore – quello che si ha paura di confessare, quello che si nasconde dietro l’orgoglio, quello che sopravvive anche alla fine. Un romanzo gotico e carnale, dove il romanticismo ha l’odore della terra bagnata e delle promesse non mantenute. Un libro che ti lascia addosso una malinconia gentile, come il glicine che dà il nome al titolo: bello, velenoso, impossibile da ignorare.
Adalyn Grace ha scritto un’opera che sa come fare male, e lo fa con stile.
E alla fine, forse, le dici pure grazie.
WISTERIA – RIZZOLI – 2025
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