Termush di Sven Holm – Recensione


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Termush, una citazione:

“Ai miei occhi Termush è un grande organismo, un unico corpo, che agisce secondo leggi diverse da quelle che vigono per ogni singolo ospite. Nessuno può prevederne le reazioni, e soltanto in un secondo momento l’organismo rivela la sua risposta, positiva o negativa.”

Benvenuti a Termush, l’albergo di lusso più esclusivo del pianeta, dove si spazzano via uccelli morti dagli ingressi dei bunker.

Termush, ovvero l’ultimo luogo al mondo al riparo dalla catastrofe nucleare.

Scritto a metà degli anni Sessanta e mai tradotto in Italia, questo classico della fantascienza scandinava è un’opera raggelante e attuale che racconta l’assurda normalità di un gruppo di sopravvissuti a un olocausto atomico.

Il protagonista della storia è un uomo che ha prenotato molto tempo prima la sua stanza e la sua salvezza a Termush.

Così passa le sue giornate fra la camera e la sala da pranzo, tra il parco e i corridoi, mentre attorno il personale della struttura tenta di pulire le superfici dalla polvere radioattiva e di schermare gli ospiti dalle notizie di morte e distruzione che arrivano dall’esterno.

Eppure, in tutta questa farsa di benessere e spensieratezza, qualcosa si sta facendo strada, strisciante: una sensazione di inquietudine crescente.

C’è qualcosa al di fuori di Termush, che sta tentando di entrare.

E ci sono, forse, altri superstiti, che porterebbero con sé malattia e contaminazione. È possibile correre ai ripari quando non ci sono più ripari possibili?

Questo romanzo incalzante è anche il racconto delle fragili illusioni del capitalismo e della falsa sensazione di sospensione e protezione che offre ai pochi che possono permettersela.

Perché, se la sopravvivenza si può comprare e la fine si può procrastinare, non può esserci comunque redenzione: l’inevitabile non concede sconti.

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Sven Holm (1940-2019) è stato uno scrittore e drammaturgo danese. Per le sue opere ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui il premio dell’Accademia danese e la medaglia Holberg.

È incredibile come questo romanzo del 1967 si adatti perfettamente ad un certo gusto apocalittico dei giorni nostri – nella storia è facile, infatti, trovare echi di Carpenter, di The Last Of Us, di The Lobster di Lanthimos, de La Strada di McCarthy – mentre le atmosfere onirico-metafisiche ricordano alcune pagine di P. K. Dick.

C’è un che di profondamente disturbante in Termush, nel racconto in prima persona di un componente di un gruppo di privilegiati confinati in un hotel di lusso – in una sorta di Decamerone post-atomico – nella narrazione della monotonia delle giornate che sembrano sempre uguali a sé stesse e nell’angoscia che serpeggia pagina dopo pagina.

Cosa c’è lì fuori? Cosa sta accadendo dentro la struttura?

La prosa di Holm è fredda, asciutta, priva di fronzoli e rende precisamente la solitudine e l’alienazione di un insieme di sopravvissuti in un mondo devastato in cui empatia e solidarietà sembrano non aver asilo.

”Termush era diventata una città viva con strade e vicoli e una pira nella piazza. Gli abitanti costituivano una popolazione unita, che non avrebbe permesso a nessuno di insinuarsi al suo interno e distruggere il suo codice morale.”

Un resort che diviene con il tempo un’entità autonoma, quasi senziente, che si staglia sulle rovine fisiche e morali di un mondo futuribile ed i cui ospiti sembrano temere, più che la morte, la trasformazione e la deformità.

Termush è al contempo la cronaca del crollo di una microsocietà ed il viaggio surreale di un uomo che, di fronte ad una catastrofe, cerca di superarla ricreando l’ambiente che lo circonda.

Un sogno lucido a metà tra l’Overlook Hotel e Doppio Sogno di Schnitzler.

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TERMUSH – IL SAGGIATORE – 2025

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