47 Poesie Facili E Una Difficile, una citazione:
“Quando stanno morendo, i cavalli respirano, / quando stanno morendo, le erbe si seccano, / quando stanno morendo, i soli si bruciano, / quando stanno morendo, gli uomini cantano delle canzoni.”
Sklovskij diceva che era un campione, Jakobson diceva il più grande poeta del Novecento, Markov diceva il Lenin del futurismo russo, Ripellino che era il poeta del futuro.
Per Paolo Nori però, Chlebnikov è stato molto di più.
Chlebnikov è, insieme a Majakovskij, l’altro grande poeta dell’avanguardia russa dei primi del Novecento.
La prima raccolta pubblicata in Italia, tradotta da Ripellino, risale al 1968.
Oltre quarant’anni dopo quella prima pubblicazione, è uscita questa piccola selezione tradotta da Paolo Nori, che finalmente getta nuova luce su un poeta enorme.
Che la scrittura di Chlebnikov sia qualcosa di molto particolare e fuori dall’ordinario, s’intuisce anche solo sfogliando questo piccolo volume curato amorevolmente dall’autore emiliano.
Ma la lettura di 47 Poesie Facili E Una Difficile ci restituisce un poeta geniale, acuto, a tratti commovente. E tutt’altro che illeggibile.
Un florilegio minimo, e necessario, della poesia avanguardista russa.
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Velimir Chlebnikov (1885−1922), di formazione matematica, fu tra i fondatori del più importante gruppo futurista russo, Hylaea, insieme con Vladimir Majakovskij, che nel suo necrologio lo definì «un poeta per poeti».
Autore non facilmente inquadrabile, apprezzato e compreso da un pubblico ristretto, Chlebnikov si impegnò ad emanciparsi dal simbolismo attraverso diverse prospettive.
A tal fine, utilizzò uno sperimentalismo linguistico basato su una continua invenzione fonetica e sulla ricerca etimologica, lo studio e il recupero delle radici arcaiche della lingua russa, l’impiego di tecniche figurative cubiste, un esotismo visionario, con il sogno di una lingua universale e profetica basata sull’allegorismo.
Fu propugnatore della poesia transmentale (Zaum’), fatta di puri suoni privi di un significato preciso.
Autore di saggi utopistici in cui prevedeva un futuro rivoluzionato da nuove modalità di comunicazione, di trasporto, di urbanizzazione, venne travolto dalla sua stessa inquieta ansia di libertà e ribellione.
Ciò lo condusse a una vita nomade, fatta di stenti e impieghi precari, conclusasi a soli trentasette anni per una paralisi dovuta a inedia e malnutrizione.
La Russia – patria amata nelle sue tradizioni popolari, nelle sue radici asiatiche e negli spazi immensi – fu però avversata per il recinto ideologico imposto agli individui, per la sua indifferenza verso l’arte, per la censura verso il pensiero indipendente.
Per mezzo delle proprie opere, sperava potesse attuarsi una trasformazione della società in una direzione più moderna e democratica.
Quell’ironia, sottile e irriverente, che spesso serpeggia tra i versi rivolti al potere costituito, sa però farsi rispettosamente da parte dinanzi alla malinconia e alle sofferenze più inconfessate del vivere:
“Le ragazze, quelle che camminano. con stivali di occhi neri sui fiori del mio cuore. Le ragazze, che hanno abbassato le lance sul lago delle proprie ciglia. Le ragazze, che si lavano i piedi nel lago delle mie parole.”
Questa piccola antologia non vuole solo smentire il luogo comune di un poeta elitario e indecifrabile ai più, ma farci avvicinare al suo sentire più intimo, al suo sogno di una lingua nuova che sia una chiave per capire il mondo.
Chlebnikov con pochi intrecci di vocaboli regala pennellate dell’animo e stoccate all’ottusità del potere.
Un battitore libero, un colto menestrello dell’anarchia e dell’indipendenza di pensiero mancato troppo presto.
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