Dopo aver letto, adorato e recensito il suo libro di racconti, Acari, Giampaolo G. Rugo ci concede un’intervista in cui scopriamo qualcosa in più di questo versatile e geniale autore.
Domanda scema per iniziare: nel tuo nome G. sta per?
Giuseppe, un errore nella registrazione all’anagrafe. Mi ci sono affezionato.
Giampaolo tu scrivi per il teatro, la radio e il cinema. La volontà di scrivere un libro, un libro di racconti nello specifico di Acari, come ti è nata e come è stato il processo, dall’idea alla pubblicazione?
La narrativa permette, rispetto alla radio, alla drammaturgia e alla sceneggiatura, di avere un controllo totale del prodotto finale. Non c’è uno speaker che deve leggere le tue parole o un regista che le deve tradurre in azione o un attore che le deve interpretare; c’è solo il lettore.
È stata una normale evoluzione rispetto al percorso intrapreso. Ho cominciato a scrivere alcuni racconti e poi ho pensato al fatto che potessero essere legati insieme per raccontare una storia più grande.
Scrivere è la forma espressiva più nelle tue corde o ne hai altre che ancora non conosciamo?
È la cosa che so fare meno male.
In Acari ci sono diversi personaggi, ci racconti di loro, ci fai sbirciare frammenti delle loro vite che poi sono tutte collegate. Quali tra Gimbo, Mario, Vittorio e gli altri hanno avuto spunti “reali”?
Come sempre quando scrivo, credo che capiti a tutti, alcune situazioni, alcuni personaggi sono ripresi dalla vita reale. Naturalmente perché il trucco funzioni, bisogna estrapolare ciò che quei personaggi e quelle situazioni possono significare anche per gli altri ed eliminare ciò che invece è legato più a un’esperienza personale.
Sennò il rischio è quello dell’autobiografismo egocentrico fine a se stesso, come quando prima di Instagram gli amici ti invitavano a casa a vedere le diapositive delle vacanze, un esperienza che chi è vecchio come me ricorda con terrore.
Tra i personaggi che tu citi alcuni sono ispirati in alcuni tratti a persone diverse che ho incontrato durante la mia vita, ma poi ho mischiato le carte per cercare di fare avere ai personaggi una propria indipendenza e autonomia.
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Parlaci di Claudia, le fil rouge del libro…
Claudia è in parte ispirata a una ragazza che avevo conosciuto al tempo del liceo e che era per me la più bella ragazza della scuola. Ero troppo timido per farmi avanti e non avendola di fatto conosciuta ho immaginato, allora e molti anni dopo, come potesse essere.
Quindi è completamente inventata. Mi interessava poi un personaggio femminile che avesse sperimentato su se stessa lo sguardo maschile in maniera duplice.
In gioventù gli uomini sono attratti da lei, come scrivo, come dei centometristi dalla linea del traguardo (linea del traguardo quindi, superata la quale c’è un’altra corsa e un’altra linea del traguardo da superare, sempre con un fine esclusivamente agonistico); lo stesso personaggio nella maturità ingrassa fino a diventare obesa e diventa, e come sa chi ha letto il libro lo diventa proprio letteralmente, invisibile allo sguardo prima così attento dei “maschi”.
Una delle protagoniste indiscusse di Acari è Roma, che rapporto hai con la Capitale, cosa ami e cosa non sopporti di lei?
Beh diciamo che l’amore dovrebbe passare per l’accettazione quindi non saprei dirti cosa non sopporto di Roma. In generale sono legato alla città, all’anonimità che regala la sua vastità e nel caso del centro storico alla sua straordinaria bellezza e storia che su di me ha un effetto relativizzante, calmante e rigenerante rispetto agli affanni quotidiani.
Nel libro però parlo più dell’altra Roma, quella che circonda il centro, le periferie piccolo borghesi come quelle nelle quali abitavo io, che sono simili a quelle di tutte le altre città e che si mischiano alle periferie più popolari in questo continuo reciproco contagio, per citare Walter Siti sperando che non se ne abbia a male.
Perché la scelta di narrare storie in un arco temporale di 40 anni, gli ultimi 40 anni?
Credo banalmente perché sono gli anni in cui ho vissuto io. Se non ho scelto all’interno di questo arco temporale un periodo più circoscritto è perché mi piaceva che il lettore vedesse i personaggi nella loro evoluzione.
Poi sono convinto, ma è una banalità, che come società siamo il risultato di quello che siamo stati nel corso degli anni e che il processo sociale che viviamo oggi nasca per molti aspetti negli anni 80 nei quali sono ambientati i primi racconti in ordine temporale del libro.
Il tuo libro è sottoforma di racconti ma talmente corale e tutto ben cucito che potrebbe essere letto come un romanzo. Hai scelto prima cosa raccontare o la forma con cui farlo?
Mentre scrivevo i primi racconti, mi è venuto in mente che sarebbe stato bello legarli insieme. All’inizio pensavo che il filo rosso che li dovesse tenere insieme avrebbe potuto essere una qualche idea, ma ben presto ho pensato che potesse essere interessante fare in modo che tutte queste piccole storie fossero figlie di un’unica grande storia che le contenesse tutta.
Come degli affluenti che andassero a finire in un fiume.
In fondo è quello che succede nella vita, tutte le nostre storie come esseri umani confluiscono in unica grande storia collettiva, la Storia. Perché il gioco funzioni, bisogna che la temperatura si alzi a poco a poco, che le viti si stringano mano a mano che procedono i racconti.
È necessario trovare lettori attenti e pazienti che auspicabilmente verranno ripagati della loro attenzione mano a mano che le storie procedono. È importante che soprattutto il primo lettore sia paziente, quello che ti dovrebbe pubblicare.
Io ho avuto la fortuna di trovare Angelo Biasella Francesco Coscioni e Neo edizioni, che si sono innamorati subito del progetto.
Nel tuo libro ho ritrovato tanta umanità ed uno sguardo benevolo verso di essa, ti rispecchia?
Mi fa piacere che tu abbia riscontrato questa cosa. Sì, mi rispecchia, o quanto meno rispecchia la persona che cerco di essere. Alle volte fallendo male, alle volte fallendo meglio.
C’è qualcosa di Acari che vorresti modificare oggi?
Ho finito un mese e mezzo fa l’editing, no. Almeno, ancora no.
Come hai iniziato a scrivere nella vita e che percorso hai fatto?
Molto tardi. A scuola non credo di avere mai preso una sufficienza in un tema in vita mia. Poi non mi piace scrivere a mano, anche perché ho una calligrafia orrenda e quando rileggo non riesco a capire cosa scrivo.
Ho invece sempre avuto un discreto fiuto per le storie. Così diciamo che ho cominciato veramente a scrivere quando l’ho potuto fare su un programma di videoscrittura.
Ero e sono un appassionato di cinema quindi a quasi trent’anni feci un corso di sceneggiatura con Sergio Donati lo sceneggiatore di Sergio Leone. Poi ho scritto per due anni delle biografie musicali per Radio 24 un programma che si chiamava i magnifici. Da lì sono passato al teatro, al cinema e adesso alla narrativa.
Che lettore sei?
Strano. Ho una modalità di fruizione simile e peculiare per la narrativa, il teatro, il cinema, la radio.
È come se a un livello profondo, dissezionassi tutte le informazioni di cui fruisco e le mettessi in un qualche magazzino della mia mente.
Il risultato è che ho finito un libro tre giorni fa e non mi ricordo un elemento fondamentale della trama o il nome di un protagonista, ma magari tra dieci anni scrivo una cosa e senza accorgermene è una rielaborazione inconscia di qualcosa che avevo letto in quel libro. Non lo so. Di certo come recensore sarei un vero disastro.
Quando eri un bambino cosa sognavi per Giampaolo adulto?
Mio padre era ed è uno straordinario affabulatore. Mi raccontava le storie della mitologia greca in maniera coinvolgente e appassionante, in particolare la guerra di Troia e la scoperta della città da parte di Heinrich Schliemann.
Mi ero messo in testa di fare l’archeologo, poi da grande ho realizzato che la cosa interessante non era scoprire la città, ma raccontare bene, come faceva mio padre, come era stata scoperta.
Un libro che è stato per te importante e uno che non sei riuscito a finire di leggere?
Ti rispondo solo alla prima essendo, come detto, un lettore particolare per non dire pessimo.
Diciamo allora, sulla scia di quello che ho detto sopra un libro importante per me fu un libro che lessi e rilessi da bambino: “Storia delle storie del mondo” di Laura Orvieto.
Se fossi un libro saresti?
Acari.
Progetti futuri?
Spero di continuare a stare bene in salute, a divertirmi continuando a scrivere storie e se poi si divertono anche gli altri a leggerle sarebbe il massimo.
Grazie mille Giampaolo del tempo che ci hai dedicato e del bellissimo Acari che, ribadisco anche qui, è un libro da acquistare, leggere e regalare!
Grazie a voi.
ACARI – NEO EDIZIONI – 2021
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