Recensione de Il Nero Nel Bianco – Andrea Paolucci

Recensione de Il Nero Nel Bianco – Andrea Paolucci

Il Nero nel Bianco, di Andrea Paolucci, come lo Ying e lo Yang, elementi che si rincorrono e che non possono fare a meno l’uno dell’altro, ha due storie. Una che si svolge ai giorni nostri. L’altra invece che si dipana in un periodo grosso modo pari all’inizio degli anni 70.

Due storie che procedono parallele, almeno inizialmente. Per poi convergere e giungere ad unità, come due corde che, intrecciandosi, vanno a formare una robusta fune.

La storia dei nostri giorni, improntata ad un pragmatismo e ad un disincanto figlio della nostra epoca, del post tutto.

La storia del passato, segnata dall’idealismo e da una innocenza che, seppur minata dalla cupezza degli abusi della politica, del malaffare e e dei costumi, rende omaggio al candore di quegli anni.

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Da un lato, la ricerca dello “stare bene”, utilizzando tutti i mezzi che possano portare a tale stato, scomponendo la vita in tanti singoli “oggi” o “ora”. Dall’altro, la ricerca della felicità, semplice, totalizzante, appagante, attraverso piccoli e grandi sacrifici nel nome di un progetto comune.

Ne Il Nero nel Bianco emergono dai tanti personaggi introdotti e descritti, 4 protagonisti principali. Due uomini e due donne. Ivan e Dario, amici molto legati anche se radicalmente diversi per natali, aspirazioni e attitudini. Bianca e Elena, figure femminili che riescono a far fronte alle proprie paure e fragilità, in tempi e modi diversi.

I quattro personaggi sono assolutamente connessi l’uno con l’altro, secondo un disegno, anche sorprendente, che appare chiaro mano a mano che si affonda nella lettura.

Sono figure in stretta relazione, che si influenzano a vicenda, secondo logiche di aggiunta o di sottrazione affettiva, comunque con legami forti, che determinano le scelte che essi stessi adotteranno nel corso delle storie.

Ma emerge con forza anche un altro personaggio. Quasi fosse una ghost track di un album rock. E’ la città di Roma.

Una Roma a tutto tondo, caleidoscopica. Dalle spiagge non lontane dall’Urbe, alle macchie di pini marittimi e di ulivi tutto intorno alla città. Dalle periferie con i palazzoni impersonali al comfort dei quartieri bene. I locali notturni, le strade dissestate, il fiume Tevere che tutto osserva silente.

Ma Roma, ne Il Nero Nel Bianco, non solo come luogo fisico, ma come posto dello spirito, Roma come organo pulsante, abnorme e senziente, capace di custodire nel suo ventre torbidi segreti come anche frammenti di pura bellezza, come questa a pagina 294:

“Roma è una fiaccolata di lampioni arancioni, è un anziano che sorseggia caffè in un bar, è lo stipite mastodontico di una chiesa che oscura i passanti,

è un monumento eterno, è il marmo più bianco, è una fila di statue impiccione, è una gatta che fa le fusa a un barbone, è il battere di ali di un esercito di piccioni, è una signora rugosa che fuma in finestra, è un vicolo cieco con una luce fioca dove fare gli innamorati,

è una sigaretta che non centra mai il tombino, è una lucciola al neon che si spegne col sole, è una fila molto complicata, è una donna bella che ti lancia occhiate tentatrici,

è un bambino stanco che strilla a un pallone, è la protesta di una piazza, è quella fatica che conoscono solo i turisti, è un ingresso riservato agli amici, è un bacio con il mondo intorno,

è la culla perfetta per un neonato d’amore.”

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