Lou Reed Il Re Di New York di Will Hermes – Recensione

Lou Reed Il Re Di New York di Will Hermes – Recensione

Lou Reed Il Re Di New York, una citazione:

“La differenza di età tra musicista e spettatore nel rock non è tanta. Purtroppo, però, chi sta in piccionaia è convinto che quelli sul palco sappiano qualcosa che lui non sa. Il che non è vero. Ci vuole semplicemente un ego molto stabile per concedersi di essere amati per quello che si fa anziché per ciò che si è, e uno ancora più grande per comprendere che si è ciò che si fa.”

Nei suoi settant’anni di vita, e cinquanta di carriera, Lewis Allan Reed – in arte Lou – ha attraversato innumerevoli fasi.

Con venticinque dischi, una serie di libri, collaborazioni cinematografiche e spettacoli teatrali, ha contribuito a trasformare il rock in una forma d’arte compiutamente adulta.

Dagli esordi come paroliere all’incontro con Andy Warhol e alla nascita dei Velvet Underground; dall’amicizia-rivalità con David Bowie alle sperimentazioni dei secondi anni Settanta, in piena era punk, fino ai grandi album della maturità e al sodalizio sentimentale e artistico con Laurie Anderson, non esiste scena musicale che questo straordinario autore e chitarrista non abbia contribuito a plasmare.

Lavorando sugli archivi che la famiglia ha reso consultabili presso la New York Public Library, Will Hermes ha ricostruito nei minimi dettagli la vita di un uomo difficile e complesso, leggendario per le sfuriate, gli odi repentini, ma anche per la generosità e la passione riversata nella sua musica.

E ne offre un ritratto che è un grande omaggio, senza ombra di piaggeria.

Lou Reed ci appare qui come una figura a tutto tondo, come l’espressione più completa di un’epoca di inarrivabile creatività.

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La sua storia si intreccia con la storia di New York, che di quell’epoca è stata il centro propulsore e che nessuno come lui è stato capace di celebrare.

Una città raccontata, decantata, spiata, partendo dai marciapiedi dei “Dirty Boulevards” fino alle situazioni sfrenate della Factory di Warhol.

N.Y. ed il rocker sono stati un binomio inscindibile: un amore di pancia, fatto di vette altissime e di abissi profondi.

Lou, infatti, è stato tutto: un Limonov del rock, al netto degli eccessi.

Ha provato qualsiasi tipo di droga, è stato un simbolo della promiscuità, bisessuale, alcolista, ma ha anche scritto brani che sono polaroid dell’anima, accompagnati da un suono di chitarra barbaro e unico e, al di là di tutto, ha incarnato come nessun altro la bruta poesia della metropoli.

La sua musica è una sorta di ibrido tra un iperrealismo autobiografico e resoconto pulp dei demoni di New York, tra abusi, eroina, sadomasochismo, povertà, prostituzione. I suoi testi sono una camera con vista sul wild side:

“Candy came from out on the Island

In the back room she was everybody’s darling

But she never lost her head

Even when she was giving head”

Will Hermes ne ricostruisce anche il carattere problematico, intrattabile, non conciliante ma anche mai vittimistico, mai simbolo o alfiere di niente.

Il ritratto di un uomo che non è mai stato acquiescente, neanche con sé stesso. Così stronzo che era impossibile non volergli bene.

Un poeta maudit che ha raccontato con i suoi versi cose che a malapena confidiamo agli amici più stretti, tutto quello sporco di cui nessuno parla mai a cuor leggero, per questo è rimasto per molto tempo ai margini del mainstream.

Perché Lou era maledetto davvero, e i maledetti, quelli veri, non piacciono a nessuno.

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