Bajkonur, Terra, una citazione:
“Nei cimiteri del Kazakistan si respira un’aria di polvere umorale che si propaga e si insinua in ogni poro di quel mondo. È la stessa polvere che alzano i vettori Sojuz quando si distaccano dal terreno, ma con la differenza che in questo caso la polvere possiede un’aura di presenza fisica, di essenza materiale, un aroma di ingenerato e di atemporale. Entra nei polmoni calcificandosi e portando così una porzione di deserto anche dentro le donne e gli uomini che la respirano. È un virus fossile atomizzato che trasmette una malattia di romantico e pietroso abbandono.”
Minareti, cupole, ziggurat, obelischi: sin dalla notte dei tempi gli uomini additano il cielo. Non c’è essere umano che non abbia pensato, almeno una volta, a cosa succede sopra la nostra testa.
Chi vive in quella superficie sterminata che chiamiamo universo? Cosa accade nell’oscurità dello spazio? Domande che sembravano destinate a vivere solo nelle speculazioni dei filosofi e nelle fantasie degli artisti. Fino a quando, un giorno, nel luogo più inospitale del pianeta, un sogno ha iniziato a prendere forma.
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Questo viaggio inizia in una terra che per secoli solo pochi mercanti hanno avuto il coraggio di attraversare, a cavallo o in groppa a un cammello; un oceano di erba secca, sabbia e detriti, troppo arido per costruirci qualcosa, troppo povero per essere conteso da qualcuno: è il deserto del Kazakistan, un luogo dimenticato da Dio che l’essere umano ha fatto diventare il suo trampolino di lancio per l’eternità.
Nel 1953, infatti, un pezzo senza nome di quel deserto sulle rive del fiume Syr Darya venne invaso da un manipolo di “alieni”: i russi. Furono loro a intravedere in quel fazzoletto di terra calda e brulla qualcosa di speciale: un luogo lontano da tutti i luoghi, eppure così vicino al cielo dell’orbita terrestre.
Bajkonur, la fortezza Bastiani del terzo millennio, e il suo Cosmodromo, la base di lancio più antica del mondo – che costituisce l’ultima vestigia perfettamente funzionante dell’epoca sovietica, ancor oggi utilizzata per i lanci verso l’ISS (Stazione Spaziale Internazionale) – sorsero così su un suolo “senza frontiere né confini”, che già è morfologicamente un posto “altro” rispetto alla Terra.
Distanti dalle loro famiglie e dai loro climi, gli scienziati sovietici cominciarono a lavorare al progetto più utopico e ambizioso della storia dell’umanità: costruire una «città delle stelle» come primo passo di quella corsa allo Spazio che contrappose per anni USA e URSS.
Culturalmente e ideologicamente all’opposto del suo omologo occidentale Cape Canaveral: da una parte i palazzoni, i blok, i monoliti di realismo socialista, i venti sferzanti e la steppa, i pragmatismi dello “stato perfetto”, presidiati da militari che non lasciavano entrare nessuno nell’area proibita; dall’altra, il castello di Cenerentola e il mondo di Walt Disney, paludi ed alligatori, surf, ragazze in bikini e il living large che stava prendendo piede nell’America degli anni ‘60.
Bajkonur, Terra – esordio letterario di Eliseo Acanfora, sceneggiatore dell’omonimo film documentario presentato al Vancouver International Film Festival – coniugando il nomadismo di Chatwin con l’empatia di Terzani ci racconta una storia affascinante e misconosciuta ai più, con una narrazione che dà voce alle vicende degli abitanti del posto descrivendo, per storie ed immagini, luoghi una volta inaccessibili, attraverso cui l’autore immortala la più antica e argonautica delle umane ambizioni: la conquista delle stelle.
La storia di un’utopia che ha sì violato una comunità ed un territorio ma che, nel tempo e forse ben oltre la volontà politica, è riuscita a costruire un ponte tra comunità culturalmente in antitesi.
Bajkonur, solo ed essenzialmente, Terra.
BAJKONUR, TERRA – IL SAGGIATORE 2019
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