Recensione di Viaggio Al Congo – André Gide


Viaggio Al Congo Recensioni

Viaggio Al Congo, una citazione:

“In confronto a questi neri, quanti bianchi sembrano villani. E che gravità triste e cordiale nei loro ringraziamenti e nei loro addii, che disperata riconoscenza verso colui che, finalmente, si degna di prendere in considerazione le loro proteste.”

Viaggio Al Congo è il diario del viaggio che André Gide fece in Congo.

Quando nel luglio del 1925 Gide si imbarca per l’Africa equatoriale francese, lo fa in qualità di “incaricato di missione” e “personaggio ufficiale” per conto del governo.

Farà poi rapporto al suo ritorno, nel maggio del 1926.

Il contenuto critico del rapporto – la completa disorganizzazione e carenza dell’amministrazione coloniale, il cinismo e l’arbitrio di alcuni suoi rappresentanti, i rapporti sperequati e disumani tra i coloni e gli indigeni – è desumibile dalla lettura di questo diario.

Oltre alle informazioni raccolte, Viaggio Al Congo ci svela anche un altro aspetto: il racconto di una “sua Africa”, una incisiva descrizione del continente africano di quegli anni.

Il nume tutelare di Gide è dichiarato: si tratta di quel Joseph Conrad e del suo capolavoro, “Cuore di tenebra”, pubblicato circa venticinque anni prima. Un punto di riferimento per chi voleva sentire l’Africa, prima ancora che conoscerla o studiarla.

Emerge con chiarezza che l’aspirazione di Gide non è di tipo sociologico o documentaristico ma quella di ripetere o comunque rivivere l’esperienza conradiana.

In quest’ottica, l’Africa è innanzitutto un luogo dove gli elementi penetrano maggiormente nelle profondità della carne e della mente umane, stabilendo con esse una stringente simbiosi, nel bene e nel male.

In Africa la natura soverchia l’uomo, lo assale con straordinaria intensità.

Gide guarda all’Africa come a qualcosa di perenne, di immutabile e dunque percepisce, seppur larvatamente, l’impossibilità di esercitarvi un dominio, sia esso politico o culturale.

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Viaggio Al Congo illustra lunghi giorni di viaggio per terra e per mare, in cui la monotonia del paesaggio e le ore vuote e indistinte trasmettono una indicibile languidezza.

Tuttavia, questa monotonia che lo accompagna gli permette di osservare le pratiche orrende non tanto dei colonialisti francesi, ma dei loro concessionari, che truffano i nativi e perpetrano, impuniti, soperchierie e violenze.

Il diario diventa allora quello che era alla fine degli anni venti del Novecento, come oggi: una guida illuminante nella foresta cupa del colonialismo.

Ma non solo. Il fascino perdurante di questo singolare diario di viaggio è nel fatto che esso presenta con chiarezza i termini del problema nell’affrontare altre civiltà, altre culture, altre lingue.

Quel concetto di estraneità, che noi uomini “moderni” cerchiamo continuamente di disinnescare, se non di eludere.

Ma da ogni fusione tra il proprio io e quello altrui non sgorga mai ciò che ci si aspetta, come risaputo dal grande scrittore francese.

André Gide (1869-1951) è stato un’apparizione unica nel panorama della cultura europea tra il XIX° e il XX° secolo. Ha mescolato vita e opere in un inconfondibile impasto di idealismo e materialismo, devozione e miscredenza, trascendenza e degrado.

Non si è mai interamente consegnato allo spirito del tempo, quale che fosse il suo effimero vessillo: spiritualismo, nichilismo, comunismo.

Nel nostro presente senza grandi imperi e ideologie, rileggere Gide è un’occasione di riflessione verso la Storia e verso i limiti dell’essere umano. Limiti sia conoscitivi che di coscienza.

Dove si trova l’inferno? Ai tropici o, più semplicemente, dentro di noi?

VIAGGIO AL CONGO – MARSILIO EDITORI – 2022

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