Maniac, una citazione:
“Quasi tutti i matematici dimostrano quello che possono. Von Neumann dimostra quello che vuole.”
Quando alla fine della seconda guerra mondiale John von Neumann concepisce il MANIAC – un calcolatore universale che doveva, nelle intenzioni del suo creatore, scatenare un potere di calcolo impensabile – sono in pochi a rendersi conto che il mondo sta per cambiare per sempre.
Perché quel congegno rivoluzionario – parto di una mente a un tempo cinica e visionaria, infantile e insieme logica – non solo schiude dinanzi al genere umano le sterminate praterie dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, ma lo conduce sull’orlo dell’estinzione, liberando i fantasmi della guerra termonucleare.
Che «nell’anima della fisica» si fosse annidato un demone lo aveva del resto già intuito Paul Ehrenfest, sin dalla scoperta della realtà quantistica e delle nuove leggi che governavano l’atomo, prima di darsi tragicamente la morte.
Sono sogni grandiosi e insieme incubi tremendi quelli scaturiti dal genio di von Neumann, descritti da un coro polifonico di voci.
Ci ritroveremo a Los Alamos, nel quartier generale di Oppenheimer, fra i «marziani ungheresi» che costruirono la prima bomba atomica. E poi a Princeton, nelle stanze dove vennero gettate le basi delle tecnologie digitali che oggi plasmano la nostra vita.
Infine, assisteremo ipnotizzati alla sconfitta del campione mondiale di go, Lee Sedol, che soccombe di fronte allo strapotere della nuova divinità di Google, il software AlphaGo.
Una divinità ancora ibrida e capricciosa – che sbaglia, delira, agisce per pura ispirazione – a cui altre seguiranno. Sempre più potenti, sempre più terrificanti.
Con questo nuovo libro, che prosegue idealmente Quando Abbiamo Smesso Di Capire Il Mondo di Benjamin Labatut – Recensione Labatut si conferma uno straordinario tessitore di storie.
Capace di trascinarci nei labirinti della scienza moderna e lasciandoci intravedere l’oscurità che la nutre.
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È difficile individuare l’oggetto delle opere di Labatut, che mettono insieme fatti realmente accaduti, finzione letteraria e folgoranti esposizioni di concetti scientifici.
Quella che viene raccontata è una rappresentazione della scienza che è vera anche se il suo corpus è, in parte, costituito da elementi inventati.
Anche la fiction, allora, diviene reale perché messa al servizio della costruzione di un’immagine che vuole descrivere quell’enorme insieme di teorie, pratiche, emozioni ed ossessioni chiamato per convenzione “scienza”.
In Maniac la forza trainante della definizione di questa immagine è la mente di János Neumann, meglio conosciuto come John Von Neumann dopo il suo trasferimento negli USA nel 1937.
Al genio, precocissimo, di Von Neumann si devono contributi fondamentali in campi della conoscenza: teoria degli insiemi, analisi funzionale, fisica quantistica, economia, informatica, teoria dei giochi e in molti altri settori della matematica.
La ricostruzione della sua traiettoria esistenziale diviene il sentiero lungo cui spandere i concetti che puntano ad illuminare una certa concezione della scienza e della tecnologia.
La dimensione della sfida umana verso l’impensabile e l’imponderabile si riflette anche nella scissione dell’inconscio di geni che erano anche uomini, con le loro debolezze o manie.
Citando Gesualdo Bufalino, “non il sonno ma l’insonnia della ragione genera mostri”.
Nel delineare i ritratti di uomini come Ehrenfest, Von Neumann e Lee Sedol, Labatut intesse con la consueta bravura una delicata relazione tra genio e follia, visione e cecità, creatività e fissazione.
Lo scrittore cileno si conferma ancora una volta grandissimo affabulatore, consegnandoci una verità misconosciuta.
La scienza è la più grande soap opera del mondo.
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