Recensione di Mattanza – Giuse Alemanno

Recensione di Mattanza – Giuse Alemanno

Mattanza, una citazione:

“Ho imparato dall’acqua: sembra adattarsi ad ogni contenitore, ma non c’è niente che la possa fermare.”

I cugini Santo e Massimo Sarmenta lasciano il loro nascondiglio in Val Camonica. Con una scia di morti ammazzati alle spalle e una montagna di soldi in contanti a disposizione, si apprestano a iniziare un nuovo capitolo della loro vita a Milano.

Grazie alle raccomandazioni del prof. Ciro Barrese, il dottor Santo Sarmenta va a prestare servizio nella clinica privata Santissima Maria Celeste. Invece Massimo – detto “Mattanza” a causa di una certa inclinazione verso eccessi di furia omicida – si organizza per ritornare a Oppido Messapico e finire quello che i due cugini sognano da anni: vendicarsi di Costantino Ròchira e di tutti quelli che hanno collaborato allo sterminio della famiglia Sarmenta.

Santo inizia quindi a lavorare come medico nella famosa casa di cura, i cui professori Mario Monti Pallavicini e Ciro Barrese, legati alla mafia calabrese, sono soci nei loro traffici illeciti: protesi ortopediche recuperate dai cadaveri e di nuovo impiantate in facoltosi e senili pazienti. Massimo, nel frattempo, giunge nel suo paese natale tra l’umanità dolorosa degli operai pendolari della grande fabbrica d’acciaio di Taranto, alla ricerca dell’infame da uccidere.

Tra brutalità e nemesi, nel libro le uniche parole d’amore vero sono rivolte alla Puglia, al suo cibo, ai suoi paesaggi che odorano di casa, di famiglia, di tradizione.

Come contraltare, in Mattanza viene dipinta una Milano crepuscolare, imbellettata da cene e feste lussuose ma percorsa da trasgressioni ed erotismo di ogni tipo, una capitale dell’opulenza che vive senza orari o scrupoli, in cui ognuno ha una tara o un che di sordido da nascondere: Barrese e il suo rapporto con Abacilio, l’uomo che gli ha cambiato la vita, Beatrice, sua moglie, che vorrebbe dimenticare chi l’ha nel tempo rinsecchita e consumata, oltre ad altri personaggi dolenti che ruotano intorno a una “Milano da bere” quanto mai fosca.

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In questa storia, non ci sarà pietà per nessuno mentre tutto, ad un tratto, si complica: Santo scopre che la clinica del prof. Barrese nasconde strani traffici, che i lunghi artigli della ’Ndrangheta arrivano ovunque e che, alla fine, Ròchira è soltanto un burattino nelle mani di personaggi che stanno in alto, molto in alto.

Dopo “Come belve feroci”, il suo libro precedente sempre pubblicato da Las Vegas Edizioni, Giuse Alemanno conclude (o forse no?) l’epopea sanguinaria e crudele di due cugini così diversi all’apparenza e in fondo così uguali nella feroce determinazione: i due ragazzi, crescendo, sono diventati sempre più complementari e sempre più letali. La loro missione di vendetta, iniziata in Val Camonica, proseguirà ineluttabile senza alcuna pietà e senza alcuna esitazione.

Mattanza ci offre il ritratto impietoso di un’Italia criminale e corrotta, intrisa di marciume, intrighi e malaffare, dal Nord al Sud e viceversa, specchio della società ipocrita in cui viviamo, dominata da un’assenza di valori e scrupoli morali, celata dietro maschere di falsa rispettabilità. Perché il male può essere banale quanto il bene.

Giuse Alemanno, classe 1962, vive tra Taranto e Manduria e ha pubblicato diversi libri. In questa sua ultima opera, molto “dialogata” ma anche assai “fisica” nella resa narrativa, sembra aver ripreso in mano il filo conduttore delle vicende negative della storia criminale italiana dalla fine degli anni Settanta fino agli anni più recenti, in cui la violenza cruda, senza sconti, di stampo quasi tarantiniano, diviene la vera protagonista della narrazione.

Alemanno, in ciò, sembra concordare con il grande regista Sam Peckinpah, secondo il quale la violenza, in ultima istanza, non è nient’altro che l’estrema sintesi di tutte le relazioni umane.

MATTANZA – LAS VEGAS EDIZIONI – 2019

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