Gli insetti sono tutti a dormire – Intervista a Valerio Valentini


Intervista Vanni Santoni

valentini portrait Interviste

Valerio Valentini, dopo la recensione di Gli Insetti Sono Tutti A Dormire, ci concede una bellissima intervista.

Quando hai iniziato a scrivere?

Tardi, in realtà tutte le cose (che molti etichetterebbero come importanti) della mia vita le ho cominciate tardi. Ho iniziato a leggere tardi, forse alle medie, non ricordo bene, mi sono diplomato tardi, avevo 25 anni e quando ho fatto l’esame di maturità la mia maturità l’avevo raggiunta da un pezzo.

Quindi anche per quanto riguarda la scrittura ho cominciato abbastanza tardi, avevo 22 anni e guardavo un mucchio di film, era estate, sul balcone avevo delle sedie di plastica e un tavolo, andai fuori e mi misi al computer provando a scrivere la mia prima cosa senza basi di nessun tipo o esperienza; era una pseudo sceneggiatura di uno pseudo film che si chiamava “Mucchio selvaggio”come la rivista di musica.

Quando la finii di scrivere era passata l’estate e non ricordo se furono più terribili quelle pagine che avevo scritto oppure le zanzare che mi mangiarono vivo.

Quando eri bambino cosa pensavi di fare da grande?

Sono stato un ragazzino disadattato, uno di quelli che indossava gli anfibi però voleva le nike per essere uguale a tutti, uno che si è sentito sempre nel posto sbagliato ma che non lo faceva vedere a nessuno.

Non sapevo e non so ancora cosa voglio fare da grande, ero confuso, volevo fare il papa, ma non un papa buono, uno di quelli del periodo rinascimentale, perché secondo me erano (e ancora lo penso) gli uomini più potenti del mondo. (Scherzo. Forse.)

Perché prediligi la forma del racconto nonostante molti del settore affermino che “i racconti non vendono”?

Che i racconti non vendano è diventato un po’ una sorta di mantra per esorcizzare il fatto che in Italia sono poche le persone che investono sulla forma breve. Dico proprio investono perché, secondo me, la questione sta alla radice e va presa molto larga.

Gli scrittori di “soli” racconti sono merce rara, perché forse siamo legati al grande romanzo italiano che abbiamo nel cassetto ma a cui manca sempre qualcosa per essere completo. I racconti fungono da biglietto da visita, troppo e purtroppo spesso, noi scrittori siamo i primi a considerarli figliastri o merce di scambio per far vedere le nostre capacità e infatti spesso capita che vengano accantonati per un romanzo e poi tirati fuori in raccolte postume per ingannere l’attesa di un’altro romanzo.

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Si dice che non abbiamo una tradizione di raccontisti, ma scrittori de calibro di Luca Ricci giustamente ci ricordano che la novella è stata una delle nostre armi migliori e una forma in cui siamo stati, se non i migliori, una grande scuola.

Il decameron di Boccaccio, i racconti romani di Moravia o i sessanta racconti di Buzzati, per citarne tre, ma ce ne sarebbero anche di altri e anche più recenti.

Le case editrici che oggi li pubblicano sono poche ma di gran qualità, penso a esempi come Italic, racconti edizioni, gorilla sapiens e case editrici che ogni due/tre romanzi tirano fuori un libro di racconti, che spesso e volentieri non ha nulla da invidiare al romanzo.

Sicuramente, però, il ringraziamento maggiore va alle riviste letterarie che hanno sempre coltivato questa tradizione e che oggi fanno un lavoro grandissimo nella divulgazione di tutto quello che concerne la forma breve.

Personalmente ho cominciato a scrivere racconti perché pensavo fosse la forma che per, prigrizia, tempo e sviluppo si adattava meglio al mio approccio alla scrittura, poi piano piano mi sono appassionato, ho cercato di trovare una forma e uno stile tutto mio allontanandomi da quelli che ritengo ancora i miei maestri. Alla fine la forma racconto ha finito per conquistarmi, ad oggi scrivo solo racconti cercando, quando li raggruppo, di trovargli un filo conduttore che lo renda molto più libro e meno raccolta.

Come nasce un tuo libro, dove prendi le idee e come le sviluppi?

Nasce da quello che mi circonda e dalle storie che amo osservare. Tutto quello che ho intorno e che vivo giorno dopo giorno è una storia perfetta per un racconto breve, sono quelle storie all’apparenza semplici ma che nascondono quel quotidiano in cui tutti ci immedesimiamo. La forma breve associata al realismo è quella che prediligo per la maggiore, sono le nostre storie.

Sei disciplinato e metodico nella scrittura?

No, non riesco a decidere quando e dove scrivere, ritagliarmi, nell’arco della giornata lavorativa, momenti in cui pensare: adesso mi metto a scrivere un paio d’ore. Negli anni però ho imparato a farlo ovunque, senza l’assillo del tempo, come e quando decidevo, e non come molti pensavo, aspettando l’ispirazione, sono diventato disciplinato nella mia indisciplina, una sorta di compromesso che mi ha portato a sentirmi meno in colpa con me stesso, vuoi scrivere? Allora devi fare così. Quindi se mi capita di scrivere sul treno, a lavoro, al bar, che sia su un pezzo di carta o sul pc lo faccio. Vivo sommerso di post-it e file incompleti, e così mi sento appagato.

Ne Gli Insetti sono Tutti a Dormire i protagonisti sono tutti “immortalati” in un momento di empasse (emotiva ma non solo), come mai?

Ho sempre preferito le storie di vita reale a quelle inventate nonostante da bambino (come tutti quelli che negli anni 90 ci sono caduti dentro con tutte le scarpe) guardavo una quantità infinita di cartoni giapponesi. Quando sono cresciuto ho continuato con le serie tv.

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Sempre e comunque fuori dal mondo, ma quando mi metto davanti al computer o alla carta e mi guardo intorno non ci sono i super robot o uomini muscolosi che fanno esplodere teste, ci sono le persone reali e quello che vivono, che vivo anche io.

Una buona parte delle mie storie è dovuta anche al continuo osservare dei fermo immagine, mio padre è stato un fotografo per tutta la sua vita e sono cresciuto in mezzo a l’immagine fissa, che è un qualcosa che mi ha sempre affascinato, cioè vedere quel fotogramma senza sapere cosa ci fosse prima o dopo quello scatto, così nei miei racconti ho voluto raccontarlo proprio così: fotografare quella singola scena, dandogli voce.

Come mai il libro inizia con un pezzo del brano “Annarella”?

Tutta la raccolta ha un forte rimando/nostalgia degli anni passati, i protagonisti sono legati a ricordi della loro adolescenza da cui non riescono a staccarsi; che sia uno skateboard, una televisione a tubo catodico o un concerto.

Tutto fa rimando a qualcosa che è mutato purtroppo o per fortuna, a qualcosa che si è sciolto e che ha cambiato forma, nel bene o nel male, qualcosa che gli anni non hanno cancellato ma hanno cambiato radicalmente, un po’ come i CCCP.

Come affronti le presentazioni?

All’inizio male, non ero abituato a parlare in pubblico e devo dire che ancora oggi faccio fatica all’inizio di ogni presentazione, cerco sempre di mantenere un tono serioso che decade dopo dieci minuti circa che parliamo.

Quindi capita spesso che alle presentazioni si rida e si scherzi con tutti, cosa che ho cominciato ad adorare davvero, ne faccio molte, per fortuna ho un lavoro “in proprio” che mi permette di farne tante, perché mi piace confrontarmi con le persone e sapere la loro opinione, mi piace girare e conoscere i librai indipendenti (il vero polmone che fa respirare l’editoria oggi giorno) e soprattutto viaggiare mi allarga la mente e mi fa conoscere posti dell’Italia che, fino a poco tempo fa, credevo non esistessero nemmeno.

Cosa fai tra la scrittura di un libro ed un altro?

Cerco di leggere il più possibile e basta, fare solo quello. A casa non ho la televisione e nemmeno internet, li ho tolti di proposito perché mi distraevano, una sorta di terapia d’urto che mi ha permesso di concentrarmi sulla lettura, inoltre sto cercando di recuperare testi che di solito si leggono prima degli altri.

Come è il mondo dell’editoria oggi e come ne vedi il futuro?

Tutti pensano che il digitale eliminerà la carta, ho un amico che pensa addirittura che fra massimo vent’anni le librerie non esisteranno più e che ci saranno enormi biblioteche tecnologiche.

Sebbene l’idea romantica della carta e il fascino del libro mi faccia sperare (più che pensare) che difficilmente potrà essere sostituita dobbiamo scontrarci con la realtà che il mondo è diventato tutto tascabile e a prova di un click.

Vedo un futuro digitale in cui ci saranno degli eremiti della carta che conserveranno i loro tomi dentro biblioteche di legno. O al massimo potrebbe essere l’inizio di una bella storia, se non esiste già.

Un libro che non sei riuscito a finire?

“Padri e figli” di Turgenev. Provai a leggerlo per una settimana ma dopo poche pagine mi fermai, non mi piaceva proprio, per scagionarmi posso dire che ero piccolo e non lo capii fino in fondo. Ad oggi sono molti però i libri che non finisco, ma per altri motivi.

Il primo che hai letto e uno che per te è stato importante?

Ricordo che quando andavo alle medie la professoressa ci assegnava un libro al mese da leggere, ci dava una lista lunga un paio di pagine e ognuno doveva sceglierne uno dalla lista per quel mese, la lista era sempre la stessa e finivi con il leggerli quasi tutti, l’unico obbligo era quello, non di scrivere una relazione o un’analisi, ma di parlarne con lei e fra di noi. Uno dei primi che mi capitò fu Fahrenheit 451 di Bradbury, che ancora oggi rimane, per affetto, uno dei miei libri preferiti.

Se fossi un libro saresti?

Non so quale sarei, posso dire quale vorrei essere: Gente di Dublino per avere un occhio su tutto.

Progetti per il futuro?

Continuare a scrivere racconti, cercando sempre di più una mia tecnica, un mio modo di raccontare le cose e una perfezione che forse non troverò mai ma che mi stimola a fare sempre meglio e conciliare il lavoro con la scrittura fino a che la scrittura diventi il mio lavoro.

Svegliarmi la mattina e poter dire: devo scrivere, se no oggi non mangio.

GLI INSETTI SONO TUTTI A DORMIRE – EDIZIONI LA GRU – 2016


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