Dopo aver letto e recensito Gli Invernali, abbiamo approfittato della disponibilità e della gentilezza di Luca Ricci, che ci ha concesso un’intervista a largo spettro, sui temi trattati nel suo libro e non solo.
Questo non-luogo che è la Cultura è davvero così popolato da grettezza, autoreferenzialità e miseria umana? In tal senso, forse, Roma può assurgere a palcoscenico principe, ma il suo sguardo in ampiezza è rivolto all’intero mondo culturale italiano?
Parto con una premessa doverosa: Gli invernali non è un romanzo di denuncia, perché secondo me la letteratura dev’essere flessibile, amare anche ciò che prende di mira e di cui si fa beffe.
Soltanto attraverso l’empatia può esserci una critica raffinata e profonda dell’essere umano, della sua grettezza e avidità, della sua sete di potere e violenza.
Quindi direi che non mi rivolgo solo al mondo culturale – anzi il mondo culturale è la punta dell’iceberg – ma lo trascendo.
Mi ha molto colpito questa frase “In giro ci sono più scrittori che lettori, questo rapporto si è fatalmente invertito, sconvolgendo il mercato. Se la domanda e l’offerta invertono i loro ruoli, a breve le librerie venderanno lettori agli scrittori”. Questo, sia per la fatale tendenza post-moderna di leggere sempre meno (e male), sia per la sovrabbondanza di offerta letteraria (che talvolta ha ben poco da dire). È vero?
E’ una battuta di dialogo proferita da un personaggio, per cui si torna al valore letterario della flessibilità. In un movimento dialogico qualsiasi affermazione si relativizza molto velocemente, ma certo offre anche spunti di riflessione. Fuori dal romanzo, dunque, dovendo ragionare su questo singolo aspetto del mercato editoriale, direi che mai come oggi si legge così poco e si pubblicano tanti libri.
L’atto della lettura è cambiato, se prima era un’attività privata e individuale, adesso coi social network è un rito pubblico e collettivo. Insomma conta dire di aver letto non leggere davvero.
Al contrario sempre per colpa dei social network scrivere non è mai stato così semplice: esistono piattaforme che ti fanno perfino l’editing, due click e sei sul mercato.
I personaggi de “Gli Invernali” che, a vario titolo, gravitano nel mondo editoriale e letterario potranno mai salvarsi o saranno condannati a vivere perennemente in una “bolla”, in una sorta di Caienna auto-inflitta?
L’impossibilità di un abbraccio universale viene scontata da tutti, nessuno escluso.
Gli intellettuali anche in rete fanno gruppo e si dividono in sottoinsiemi, quelli che scrivono per lo stesso giornale, o che hanno lo stesso editore o agente letterario.
Basta un niente per fare gruppo, a parte la poetica. E’ abbastanza significativo, no? Nessuno più si riunisce sotto l’insegna del postmoderno, o del neorealismo, o dell’autofiction. La letteratura ormai sembra più una scusa.
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Mi è molto piaciuta la rappresentazione del romanzo come pièce d’interni, quasi di stampo teatrale, e non Le nascondo che mi ha ricordato per certi versi “Carnage” di Polanski. Si è in qualche modo ispirato, come situazioni e dialoghi, a “Il dio del massacro” di Yasmina Reza?
Adoro la Reza e in particolare Carnage, quel tipo di violenza sottotraccia che cova come brace dentro a dialoghi che si vorrebbero civili e assennati.
Spesso siamo bestie travestite da uomini, e il lavoro della Reza rende questo aspetto al meglio.
Un altro riferimento per Gli invernali è senz’altro Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee, altre due coppie riunite in un salotto per bere e cianciare che a poco a poco scoprono di volersi sbranare.
Mi piace l’idea di un libro che parla di letteratura dall’interno, quasi divorandola per purificarla e restituirla così alla sua natura più autentica. La letteratura – contemporanea e non – può essere come il titano Crono che divora i suoi figli (autori, agenti, critici, etc.)?
E’ un’immagine molto calzante che sicuramente mi rivenderò al prossimo Salone di Torino (ride, n.d.r.). L’elemento della catarsi è centrale in romanzi come Gli invernali, che si poggiano preferibilmente sulle forme retoriche della distruzione come l’invettiva o la satira. Thomas Bernhard è catartico, Tommaso Landolfi è catartico: non perché cercano l’happy end, ma perché cercano di fare una tabula rasa.
Per concludere, pensa (o teme) che Muccino possa trarre un film da questo o da un altro dei suoi ultimi libri?
Povero Muccino! Ogni tanto vengo avvicinato dalla gente del cinema, produttori, registi o sceneggiatori. Ci parlo e ci ragiono, facciamo aperitivi o cene, ma poi non succede mai niente. Non me ne faccio un cruccio, sono onesto. Non scrivo per venire adattato. Non uso la letteratura come un mezzo, per me è e sarà sempre il fine ultimo e supremo.
GLI INVERNALI – LA NAVE DI TESEO – 2021
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