L’Isola di Plastica – Intervista Marco Caponera

L’Isola di Plastica – Intervista Marco Caponera

Dopo il successo del suo libro L’Isola di Plastica abbiamo intervistato Marco Caponera per toglierci qualche curiosità e abbiamo scoperto un vero personaggio!

 

Quando hai avuto l’idea per il libro e cosa l’ha fatta scattare?

L’idea è venuta circa 6 anni fa, leggendo questa inquietante – ma affascinante – notizia del Pacific Trash Vortex. L’idea che qualcosa appartenuto a me, gettato via senza pensarci su, anni fa, adesso fosse lì, a galleggiare beatamente nell’ oceano Pacifico mi stuzzicava e mi angosciava allo stesso tempo. Ogni volta che buttavo qualcosa nel cestino mi saliva un po’ d’angoscia ma anche un sorriso da ebete. Ed è quando ho queste sensazioni contrastanti che so essere il momento giusto per mettermi a scrivere. Così è nato un racconto che poi, qualche anno dopo rileggendolo, capii avere il giusto “respiro” per raccontare molte cose e molte esistenze.

In quanto tempo lo hai scritto?

La stesura della prima parte è stata completata in circa due anni, quella della seconda parte in circa un anno. Ovviamente in questi anni non ho fatto solo questo. Ho scritto sceneggiature, ho fatto lavoretti per pagare un affitto ed ho anche avuto una vita (abbastanza caotica).

Perché lo specifico? Perché non voglio passare per lo scrittore che spaccia la frottola di una vita tutta intorno ad un romanzo, ore al giorno, per anni. È una bugia angosciante. Non credeteci mai.

A chi lo hai fatto leggere per primo e che ti ha detto?
I primi a leggerlo, anzi, a vederlo nascere, sono stati Paolo Restuccia ed Enrico Valenzi durante un terzo livello della scuola Omero. Sono stati subito entusiasti dell’idea e loro, insieme al mio compagno di supplizi narrativi Fabrizio Rabottino, sono stati quelli che mi hanno spinto, sostenuto e fomentato a scrivere e riscrivere questa storia fino ad arrivare al punto in cui odiavo loro e questa storia. Ma è stato un passaggio obbligato.

Adesso li amo tutti più di prima.

Il surreale è un tuo registro o è venuto fuori per raccontare questa storia?

“Tanto tempo fa…ma non molto tempo prima, nel paese di…non mi ricordo, viveva una bambina di nome Arianna. Viveva pensando di essere una bambina di nome Arianna, invece era solo di una tipa di cartapesta.” Questo è l’incipit di una commedia teatrale per burattini che scrissi in seconda media – poi messa in scena dalla mia classe – e della quale ritrovai la sceneggiatura proprio qualche tempo fa.

Se questo non risponde alla tua domanda, aggiungo che uno dei miei racconti più riusciti dal titolo “Una torre di metallo con un parrucchino gigante” è stato pubblicato nel libro “Fantareale. Nuova antologia del racconto fantastico”.

Si, credo sia un mio registro.

Per la coppia di gay in crisi a chi ti sei ispirato?

Per i due personaggi ho fatto un accurato mix di tre amici di cui non farò mai il nome. Mentre per la crisi di coppia ho tratto ispirazione sia da coppie gay che etero.

Tanto per dire che: l’amore non fa distinzione di sesso, ma anche gli scazzi non scherzano.

Perché Gesù è così unconventional nel tuo romanzo?

Gesù è una figura che mi ossessiona fin da bambino. Non c’ho mai creduto nemmeno per trenta secondo di fila, ma questo personaggio così frikkettone e un po’ sfigato – ma che è segretamente il figlio di Dio e che non lo può dire apertamente e che un po’ mi ricorda Lovely Sara ‘sta storia – mi affascinava tantissimo. Tanto che nel romanzo mi sono davvero divertito a descriverlo come me lo sono sempre immaginato: insoddisfatto, sboccato e immotivatamente buono.

Soggiorneresti nel Beautiful Garbage?

Credo di sì, ma solo per un week-end. Ho un pessimo rapporto con i ricordi del passato e questo posto non è il top per chi ha questo problema. Insomma, bello ma non ci vivrei.

La plastica rappresenta il disagio dell’uomo moderno, l’allontanamento dalla natura, la nostra deriva o è semplicemente plastica?

Per me la plastica è una parte della natura – perché arriva pur sempre dal pianeta terra, non da Marte – che mette a disagio l’uomo moderno portandolo ad una deriva dalla quale, al momento, non sa ancora come tornare indietro.

Se è troppo complessa come risposta per il lettore medio, posso dire che è semplicemente plastica.

Descriviti con una frase.

Vorrei essere me stesso, ma non ricordo la password.

Il tuo primo libro letto e quello che più ti ha segnato nella vita?

Il primo libro letto in assoluto fu “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Pirsig, (morto proprio qualche giorno fa, ndr). Un libro che trovai di una noia e di una pedanteria che nemmeno Baricco in tutta la sua produzione letteraria. Però, ha avuto il merito d’iniziare a far nascere in me l’insofferenza verso un certo tipo di narrativa e di modo di vedere la vita. Invece, quello che più mi ha segnato in realtà, è stato un racconto, “Il barile di Amontillado” di Edgar Allan Poe. Dentro ci ritrovo tutto quello che mi piace: lucidità nel male, schiettezza, perversione, ironia, angoscia, vendetta, distorsione della realtà. Ad oggi mi capita ancora di rileggerlo di tanto in tanto, quando voglio ricordarmi di come si scrive.

Uno che non sei riuscito a finire?

Ti confesso che il 40% dei libri che ho iniziato non li ho mai finiti. Mi annoio subito. Voglio che mi si racconti qualcosa di emozionante, di nuovo o che non conosco bene, mentre moltissimi libri sono l’autocelebrazione dell’autore sotto forma del suo personaggio principale. Che due palle. Ma se proprio te ne devo dire uno ti dico: tutti quelli di Stephen King.

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Hai studiato alla Scuola di Scrittura Omero, che bagaglio ti porti da quell’esperienza?

Enorme. La scuola Omero è il doping legale degli scrittori. Nel senso che sei hai talento, solo con un aiutino puoi raggiungere grandi risultati. La scuola di scrittura Omero, oltre a mettere in risalto il tuo talento (se ce l’hai) ti aiuta a portarlo fuori. E non solo per il metodo didattico azzeccato, per gli esercizi, le letture, i confronti, ma soprattutto grazie all’interazione con persone come Paolo e Enrico e con tutti gli alunni conosciuti durante i corsi. Queste sono le cose che ti aiutano davvero a scrivere e capire perché scrivere.

Come vivi le presentazioni per L’Isola di Plastica?

Le vivo che non vedo l’ora. Un po’ perché sono la parte più divertente di tutto questo lavoro, un po’ perché mi son inventato delle presentazioni atipiche, dove il pubblico interagisce con un quiz surreale da me scritto e dove si vincono delle domande da fare all’ autore alla fine della presentazione – perché altrimenti non le fa mai nessuno, e quei pochi che le fanno, le fanno banali – ma anche con dei passaggi del mio romanzo rivisitati come se li avesse scritti Salvini, Renzi o Adinolfi. Il tutto portato in scena, perché è una specie di show, da attrici e attori che di volta in volta si travestono, diventano veline zoppe e così via.

Se fossi un libro saresti?

Forse sarei un sussidiario delle elementari. Sono una persona che sa molte cose di svariati argomenti ma niente in maniera approfondita.

Anche se mi sto chiedendo adesso: ma si usano ancora i sussidiari?

La copertina, come è stata scelta?

Ho ricevuto quasi più complimenti per la copertina che per il libro e questo da una parte mi fa piacere perché l’idea è della mia compagna, Alessia Lingesso, dall’altra mi fa un po’ rosicare.

Anche perché, quando le ho chiesto di farmi qualche disegno per la copertina, vista la sua passione per l’illustrazione ed essendo una delle poche ad aver letto il libro, lei fece subito la bozza della bottiglia di plastica immersa nel mare. Ne rimasi subito folgorato, così glie ne feci fare una più dettagliata. Anche il grafico della mia casa editrice capì subito che era perfetta, e dal disegno ricavò quello che vedete adesso. Cioè, ha capito subito, all’istante, il senso di una cosa che ho scritto io e che ancora fatico a capire.

Quasi m’indigno ogni volta che ci ripenso.

Cosa volevi fare da grande?

Da piccolissimo l’Archeologo perché mi piaceva Indiana Jones, poi, capito che con quella laurea al massimo avrei potuto fare il ricercatore a tempo determinato e che sapevo solo scrivere, ho investito tutto sulla scrittura. Che spero di realizzare in pieno, anche perché non ho preso nessuna laurea in archeologia.

Che progetti, editoriali e non, hai per il futuro?

Editorialmente parlando ho un nuovo romanzo quasi pronto, un paio di commedie teatrali da sistemare, un cortometraggio da troppo tempo in standby e l’idea di scrivere un terzo romanzo per ingannare il tempo.

Per quanto riguarda i progetti non editoriali, spero di riuscire a non diventare più povero di quello che sono ora: è un qualcosa di ambizioso, ma spero di riuscirci.

Noi speriamo in un prossimo libro a breve!

Incrocio le bottiglie di plastica e vi ringrazio ancora, siete fantastici.

L’ISOLA DI PLASTICA – ALTEREGO EDIZIONI – 2017


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