Recensione di Ripley Bogle – Robert McLiam Wilson


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Ripley Bogle. Un nome come tanti, quasi da passare inosservato. Un individuo entrato nella vita dalla porta sbagliata.

Provenienza Belfast, Falls Road. L’Irlanda nazionalista che sogna l’unificazione dell’isola. La famiglia di Ripley è quella che non vorresti mai. Madre irlandese, professione prostituta. Padre gallese, specialità alcolista.

L’incontro con la sua terra non è dei migliori, le difficoltà sono tante, il benessere è pura utopia. Il conflitto che infiamma le strade della cara vecchia Irlanda non aiuta. Arresti immotivati, scontri all’ordine del giorno.

L’Irlanda è da maledire: “Noi irlandesi siamo dei fottuti idioti. Nessun altro popolo può competere con noi quanto al sentimentalismo insensato in cui ci crogioliamo. Noi e l’Ulster. Quei dannati irlandesi prediletti da Dio, come amano pensare. Come popolo siamo un casino; come nazione una disgrazia; come cultura una noia…individualmente siamo spesso repellenti.”

L’infanzia non è da inserire nell’album dei ricordi, di liete reminiscenze neppure l’ombra. A scuola le vessazioni subìte non si contano e le botte prese lasciano il segno sul piccolo indifeso ragazzino irlandese. Ma lui se la prende con Belfast. La colpa è della maledettissima Belfast.

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Bogle dimostra, al contempo, le sue qualità nello studio. Intelligenza, arguzia, spirito ribelle. Gli ingredienti non mancherebbero per poter spiccare il volo, direzione olimpo dei cervelloni.

Ripley Bogle rivela che il destino è beffardo, l’amore è beffardo. Lo stesso amore che ridurrà, il ragazzo figlio d’Irlanda, più volte sul lastrico. In primis quello per Deirdre, la fanciulla dell’altra Belfast, quella protestante, ricca e unionista. Prima il corteggiamento, poi la relazione, e infine l’aborto. Come conseguenza, la fuga: “Come poteva dunque fare un povero ragazzo? Ho chiuso, ovvio. Me la sono filata. Ho scelto la strada. Sono sparito, come dicono.”

Londra ad accoglierlo. La perfida Albione a cullarlo. Proprio qui inizia la storia di Ripley Bogle, un’altra storia. Si chiude un sipario e se ne apre un altro: la vita del vagabondaggio, del pressapochismo. L’esistenza invisibile del barbone:

“Ho semplicemente capitolato di fronte al mondo e sono scivolato via, più silenzioso e ingombrante che potevo.”

Alcool, sciocchezze, delusioni. Poi il tentativo di rinascita con lo studio, a Cambridge. Gli ottimi risultati e poi di nuovo l’amore. Quello non ricambiato, quello che lo riduce in poltiglia, che lo lacera. Questa volta la musa è Laura, trionfante giovinetta universitaria: potrebbe essere la via della rinascita.

Le donne, in fondo, sono l’incubo ricorrente di Bogle: “Le ragazze sono i ragionieri dell’amore. Provano a tenere in ordine i vostri registri, impresa rischiosa e di rado divertente. Lavorano bene ma la loro commissione è cara, orrendamente cara. Vi aiuti il cielo se non riuscite a pagare!”

Poi ancora il girovagare, il dormire nella Londra fantasma, le amicizie di strada e la bottiglia come fedele alleata in questa debacle: “Mi ha visitato la tristezza. Per via della mia bruttissima storia. Colpa di ieri. Cosa posso fare? Sono venuto ad affogare il passato ma non so nuotare nel presente.” Londra è diversa da Belfast, rimane nell’ombra, non disturba, rimane spettatrice quasi indifferente delle atrocità quotidiane.

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Il bel giovanotto di Belfast è una mente che eccelle ma è destinato a fallire. Pensare che si accontenterebbe di poco, scoverebbe gioia in pochissimo. Del resto, la contentezza si annida negli angoli meno appariscenti.”

Ripley Bogley è sorprendente. Un romanzo dall’animo profondo, con un ritmo difficile da rintracciare in altre opere. L’autore, l’irlandese Robert McLiam Wilson, sembra ripercorrere le tappe nefaste della sua vita. La solitudine, la voglia di rivalsa, la rabbia che scoppia dentro.

Un’opera che viaggia spedita, a tratti sembra perforare la mente del lettore, fare a pezzi il cuore di chi legge, provocare quasi un senso di colpa per le disgrazie altrui.

Dedicato a chi fa a cazzotti con la solitudine, a chi combatte contro i demoni dell’emarginazione, a chi vorrebbe reagire ma, in fin dei conti, non ci riesce:

“Siamo rimasti insieme nel bello come nel cattivo tempo, voi e io. Che io vi piaccia, che mi detestiate, mi troviate vile, che mi ignoriate o quello che vi pare…”

RIPLEY BOGLE – FAZI EDITORE – 2018

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