Recensione di Volevo Essere Madame Bovary – A. Ibrahimi


Volevo Essere Madame Bovary

Volevo Essere Madame Bovary oppure no? Una storia questa che parte dall’eterno conflitto tra ciò che dalla “notte dei tempi” ci viene detto di essere e quello che siamo.

In Volevo Essere Madame Bovary  la voce di questo romanzo, Hera, poco più che quarantenne, di origini albanese ha vissuto tutta la propria adolescenza e giovinezza sotto “la cappa” della repubblica popolare socialista (1976-1991). Dove apparentemente donne e uomini sono uguali nell’assolvere ai compiti verso la società; ma dove in realtà è il patriarcato l’indiscusso padrone.

Con continui rimandi al suo passato e al suo presente vivremo con lei la sua personalissima vicenda umana.

Pagina dopo pagina scopriremo che Hera è cresciuta a comunismo e letture proibite, “Madame Bovary” di Flaubert spicca tra le più gettonate. Con una famiglia ricca di contraddizioni tra il padre filosofo palesemente antisocialista e femminista e una madre greca, devota ai “Soviet” più di qualsiasi patriota albanese.

Il resto lo hanno fatto le amicizie profonde, il liceo, l’università, gli amori “scassati” e la voglia di essere diversa. In Volevo Essere Madame Bovary le domande sono molte, le risposte poche e le più difficili di lì da venire.

Alla fine degli anni’90 come molti dei suoi connazionali, grazie a una borsa di studio, la nostra protagonista si trasferisce in Italia dove inizia il suo percorso lavorativo, incontra suo marito e ha due figli.

L’ irrequietezza quella però non tace mai. E saranno proprio alcuni incontri quelli rari, quelli programmati dal destino, a dare la svolta alla sua vita.

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Un viaggio nella sua terra natia, anni dopo essere andata via, la riporta indietro nel tempo. A ciò che non è più. Un viaggio con il suo amante Skerd. Già, lei donna sposata con famiglia ha un amante, anche lui albanese. Una seconda relazione vissuta con pienezza e soddisfazione. Senza sensi di colpa.

«So che Skerd è proprio il tipo di uomo che mi sono lasciata alle spalle. Eppure l’ ho incontrato di nuovo, forse è destino. Forse è giusto così, mi sta accadendo questo perché la vita vuole ripartire da dove io l’ ho interrotta.»

Ribelle per natura, ribelle per scelta. Ribelle per una consapevolezza guadagnata sul campo. Hera è un personaggio empatico, la cui storia è magnetica, così come tutte le storie che si porta dietro, delle generazioni prima di lei: della propria nonna, della propria madre. Dei sì che ha saputo accogliere. Dei no che alla fine ha saputo dire. Perché in fin dei conti non tutte vogliamo essere Madame Bovary. No?

Questo è un romanzo specchio. Forte e intenso. Dedicato a tutte quelle donne sovversive che affinano il proprio immaginario ogni giorno. Andando avanti. Andando oltre.

«Avrei preferito parlarti, più che scriverti. All’inizio ti ho riconosciuto in certi spaccati che mi appartenevano, ora però mi sento tradita. Dovrei spiegarti cosa si prova, anche solo per un attimo, a trovarsi nel più classico dei grovigli. Volevo essere Madame Bovary, ma ho capito che la mia vita è un’ altra storia.»

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