Stazione Omicidi. Vittima Numero 1 – Intervista a Massimo Lugli

Stazione Omicidi. Vittima Numero 1 – Intervista a Massimo Lugli

Massimo Lugli, dopo aver letto il suo Stazione Omicidi. Vittima Numero 1, ci concede una bellissima intervista.

I protagonisti di Stazione Omicidi. Vittima Numero 1, Vasile e Flavio, sono due personaggi agli antipodi, nettamente diversi per provenienza, estrazione sociale e abitudini. Qual è dunque il fattore che li accomuna dal punto di vista umano e rende possibile la nascita della loro amicizia?

Il senso del libro è proprio in questo incontro, quello tra due mondi, tra i due protagonisti, tra yin e yang. Flavio e Vasile sono due persone totalmente diverse ma hanno effettivamente una cosa in comune, la solitudine.

Flavio è un ragazzo di buona famiglia in conflitto con i genitori, che fa uso di droghe e non vuole prendere la strada che è stata già tracciata per lui, anche se inizialmente non lo sa. Vasile è uno schiavo, uno di quei tanti ragazzini che vengono venduti per lavorare, che hanno un valore in moneta.
Immaginate dunque Flavio, molto bello, colto e ricco che una notte sorprende in casa sua Vasile, il suo opposto, entrato nel tentativo di rubare e lo accoglie con una pistola puntata. Quella sera Flavio ha assunto degli stupefacenti. La droga dunque diventa una sorta di lasciapassare che gli permette, da allucinato, di fare qualsiasi cosa, anche di allearsi all’intruso e dare spazio così alla nascita di un’amicizia.

Si potrebbe dire che la città è, a tutti gli effetti, il terzo protagonista del romanzo?

Assolutamente sì. Questa è la prima volta che nomino Roma in un mio romanzo. Negli altri ci sono molte citazioni di luoghi simbolo della città, per esempio la piazza con la fontana dove buttano la monetina, ma sono stato ben attento a non nominarla mai.

Stavolta ho voluto cambiare, come ho fatto anche introducendo l’uso della terza persona e il presente storico.

Roma è sempre al centro della mia produzione letteraria, voglio descrivere questa città che amo e disprezzo come tutti i romani. Roma è il centro, con tutti i suoi disastri, ma lo è soprattutto quella parte che mi affascina di più, quella che noi non vediamo, quella dei dimenticati, degli inferi, delle zone abitate dagli ultimi, dei campi rom.

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Secondo la tua esperienza di cronista, prima ancora che di scrittore, quanto e come è cambiata la criminalità oggi rispetto al periodo del tuo esordio come giornalista di cronaca nera?

È cambiata moltissimo. Quando ho iniziato come cronista c’erano i marsigliesi, la più grande gang criminale, quella delle tre B, una triade che ha fatto il suo ingresso a Roma negli anni ‘70, poi è stata la volta della banda della Magliana.

Ora la situazione è diversa, più soft, meno violenta; si parla di delitti più che altro passionali o di strada, ma non di omicidi di malavita.

Si tratta di una criminalità a macchia di leopardo, con singoli quartieri in mano a bande diverse, cosa che paradossalmente la rende più pericolosa, più difficile da eradicare, perché più dispersiva. Risalire a un’organizzazione individuando un componente che poi inizia a collaborare è sicuramente diverso e anche meno difficile dallo svolgere indagini su tutte queste realtà differenti. La criminalità c’è oggi, come ieri, ma è completamente diversa.

Come si evince dai tuoi romanzi, la grande passione per le arti marziali ha influenzato anche la tua scrittura. Quando e come è nata questa passione?

Avevo nove anni quando iniziai, accompagnato da mia madre, nella mia prima palestra di judo.
Poi sono passato al tai kwon do a quattordici anni e ho smesso per entrare al Paese Sera. Successivamente, appena mi è stato possibile, mi sono dedicato al karate, poi al wing tsun e al tai ki kung, due discipline che ancora pratico.

Sono la mia vita. Io pratico un’ora al giorno e posso dire che potrei privarmi di tutto tranne che della pratica delle arti marziali. Per me è fondamentale e dà molta disciplina anche alla mia scrittura. Il tai ki kung è una pratica solitaria, si fa anche in gruppo ma non è un combattimento.

Affronti te stesso, combatti con la pigrizia, la poca voglia di fare, la stanchezza, la distrazione, perché la cosa difficilissima è focalizzare la mente sul movimento, è un tentativo continuo che non riesce mai. L’essenziale però è provare, praticare, applicando a questo il concetto di kung fu ovvero lavoro duro (da Confucio). Questa attitudine del lavoro duro si può estendere a qualsiasi disciplina o azione: la danza è kung fu, la calligrafia è kung fu, per me la scrittura è kung fu. Le discipline sono migliaia ma la cosa che le accomuna dunque è il kung fu, l’applicazione, la pratica.

Sei un amante del romanzo storico. Fantasticando, se avessi la possibilità di vivere in un altro periodo storico, quale sceglieresti e in quale veste?

Il 1346. Vorrei essere un arciere inglese che si prepara ad affrontare la battaglia di Crécy, la prima in cui la cavalleria pesante francese viene sterminata dalle frecce del long bow, l’arco lungo inglese. Prima di morire se Dio mi dà forza e vita, scriverò un romanzo ambientato proprio in quell’epoca. Sono incredibilmente affascinato dal Medioevo, la guerra dei cent’anni, la peste nera che rade al suolo quasi metà della popolazione europea.

Mi piace interrogarmi sul perché la medicina dei Romani così sofisticata e sviluppata, sia sparita nel Medioevo trasformandosi in superstizione o sul perché il castello venisse riscaldato con il braciere nonostante fossero già stati creati e utilizzati in precedenza gli ipocausti. Mi affascina questa involuzione, questa idea della civiltà che torna indietro. Vorrei essere nel Medioevo, fare la veglia d’armi, indossare la corazza, l’armatura e combattere.

L’uscita del secondo volume della trilogia di Stazione Omicidi è prevista nei prossimi giorni. Puoi darci qualche anticipazione?

Il primo volume si conclude con l’arrivo di Vertigo, la droga. Nel secondo volume Vertigo diventa una realtà che sconvolge gli equilibri criminali dato che la malavita ne reclama il controllo. La piccola banda che si è formata nel primo romanzo composta da Flavio, Vasile, Jean Luc, Marzia e Felipe, si rende conto di vivere una situazione di serio pericolo. La gang e la villa, che ne è metaforicamente il centro, si ritrovano infatti sotto assedio.

Quindi questi cinque incoscienti, tutti tranne Jean Luc forse il personaggio più forte, il vero criminale che sa tutto sin dall’inizio, si ritrovano a fare i conti con le conseguenze delle loro azioni criminali e con i relativi rischi che esploderanno infine nel terzo volume ma prendono forma nel secondo.

Il libro è pervaso dalla presenza di questa minaccia lontana, che si avvicina sempre più.
Ho scelto di scrivere una trilogia, ispirandomi al simbolo del TaijituTu (yin e yang). Quello che vediamo oggi è una versione moderna di quello iniziale che non era solo bianco e nero ma bianco, nero e grigio, perché rappresentava la terra, il cielo e l’uomo. L’uomo ha i piedi poggiati a terra ma la testa nel cielo.
Il Tao Te Ching dice ‘Il Tao generò l’Uno, l’Uno generò il Due, il Due generò il Tre e il Tre generò le diecimila cose‘. L’unità è tre, i libri sono tre.

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