Recensione di Gli Inquinati – Roberto Ugolini

Recensione di Gli Inquinati – Roberto Ugolini

Gli Inquinati, una citazione:

“La C3 Pluriel era avvolta da una nuvola di fumo; le lancette sul cruscotto giacevano inerti a fondo scala. Sotto il sole cocente Claudio Bonomi proiettava la sua silhouette filiforme sul cofano e rimanendo immobile osservava la disfatta. Troppo alcol nel sangue per riuscire a orientarsi; tanto valeva accendere un’altra Chesterfield e studiare la fauna locale. Aveva appena gettato il mozzicone sul marciapiede quando intravide una specie di santone che stava strascinando i suoi sandali sul cemento rovente, un centinaio di metri più in là.”

Cesare Paci, un padre degenere drogato di slot machines.

Claudio Bonomi è alla ricerca di un meccanico ma finisce in una comune per la crescita spirituale con bancomat a forma di fiori di loto.

Nicola Zanini è invece un impiegato stitico, solo e disprezzato.

Goffredo Garonzi parte volontario in Africa per settantadue ore, solo il tempo di qualche scatto con la sua Reflex per organizzare una mostra fotografica sui bimbi africani.

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Sono solo alcuni dei meschini protagonisti de Gli Inquinati, individui privi di qualunque statura morale che ricordano in parte gli “uomini schifosi” di David Forster Wallace, ma con quel fare, con quel malcostume che è, purtroppo, tipicamente italico.

Ugolini, con stile satirico, cinico e grottesco, sferra una critica corrosiva verso quella fetta di società inquinata che ama soluzioni semplici per problemi complessi, senza un briciolo di empatia e di solidarietà, creando racconti fuori dalle convenzioni e dal politically correct.

Racconti brevi, fulminanti e stranianti, che trasportano il lettore in un’atmosfera onirica sporcata però dallo sdegno che si prova per le “avventure” dei personaggi miserabili ivi raccontate. Gli Inquinati va oltre lo stile bizzarro, oltre il black humor, oltre l’immaginifico, perché mettendo a fattor comune tutti questi elementi a fine lettura si finisce per approdare in un limbo a metà tra il surrealismo ed il crudo realismo, tra Dalì e Zavattini.

In fin dei conti, gli inquinati sono essenzialmente vittime – del potere o, più probabilmente, dei propri fallimenti e frustrazioni – che fanno di tutto per essere carnefici, mollando ogni freno inibitorio. E questo capovolgimento crea situazioni assurde.

Ugolini però non giudica. Non ha tesi da difendere. E, così facendo, ci mette nella condizione ideale di capire da soli quanto ambiguo possa essere il confine tra giusto e sbagliato. Come tutto sia relativo. Quanto cauti dovremmo essere nel giudicare o condannare i comportamenti altrui.

Possiamo avere tutte le certezze che vogliamo. E possiamo magari anche vantarci dei risultati raggiunti nella nostra vita. Ma siamo sicuri che questa stessa arroganza non ci abbia già dipinto alla stregua di una delle macchiette del libro, che portano avanti con supponenza e pervicacia le loro incoerenze, senza forse esserne pienamente consapevoli?

E cosa rimarrà sul volto dopo la lettura? Un sorriso amaro o un ghigno?

Per certo, una profonda compassione per questi derelitti che popolano il libro, che potremmo anche essere noi in una qualsivoglia, infinitesimale, parte della nostra esistenza.

D’altronde, lo scriveva già Flaiano in uno dei suoi racconti: ad essere assurda è la satira perché addolcisce la verità.

GLI INQUINATI – ARAS EDIZIONI – 2019

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