Atti Umani di Han Kang – Recensione

Atti Umani di Han Kang – Recensione

Atti Umani, una citazione:

“Per quanto tempo l’anima si trattiene accanto al corpo? Davvero vola via come un uccello? È questo che fa tremolare la fiamma della candela?”

Una palestra comunale, decine di cadaveri che saturano l’aria di un «orribile tanfo putrido».

Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il paese vige la legge marziale.

Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta è iniziata l’insurrezione, seguita da brutali rappresaglie.

Atti umani è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una carneficina mai veramente narrata in Occidente.

Conosciamo il quindicenne Dong-ho, alla ricerca di un amico scomparso; Eun-sook, la redattrice che ha assaggiato il «rullo inchiostratore» della censura e i «sette schiaffi» di un interrogatorio; l’anonimo prigioniero che ha avuto la sfortuna di sopravvivere; la giovane operaia calpestata a sangue da un poliziotto in borghese.

Dopo il massacro, ancora anni di carcere, sevizie, delazioni, dinieghi; al volgere del millennio stentate aperture, parziali ammissioni, tardive commemorazioni.

L’autrice, con un terso, spietato lirismo scruta tante vite dilaniate, racconta oggi l’indicibile, le laceranti dissonanze di un passato che si voleva cancellato.

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Han Kang, nata a Gwangju nel 1970, è una scrittrice sudcoreana vincitrice del Man Booker International Prize nel 2016 con La Vegetariana, sempre edito da Adelphi.

L’umano, che Han Kang insegue con la sua prosa rarefatta ma implacabile, si svela nel suo inestricabile groviglio di orrore, sangue, eroismo, paura e dignità.

Atti Umani racconta di una repressione brutale ma lo fa con un peculiare registro narrativo che è profondamente poetico.

Il massacro partito dalla piazza di Gwangju, infatti, Han Kang non lo descrive sotto forma di inchiesta, ma di narrazione corale.

Sette storie, sette persone che narrano la vicenda prima, durante e dopo la strage.

Perché gli effetti di un evento del genere si devono osservare anche attraverso la risonanza che generano, per poterli comprendere davvero.

Sotto la dittatura, questi eventi furono presentati alla popolazione come una rivolta comunista; fu solamente una volta instaurato un regime democratico nel Paese che la mattanza fu riconosciuta come una violenta repressione di un movimento che mirava a difendere le libertà individuali dei coreani.

Le voci che ascoltiamo sono quelle di bambini, ragazzi, prigionieri e madri senza più figli. Come in una tragedia greca, un coro a più voci accomunate da morte e dolore.

Han Kang ci fa entrare nella carne della storia, però lo fa con una delicatezza e seguendo delle strade imprevedibili, però alla fine è tagliente come un rasoio.

Nella letteratura contemporanea non esiste nessun altro capace di coniugare in questo modo lirismo e crudezza, forma e materia, sogno e realtà.

Han Kang esplora abilmente il lato crudele e dolente dell’umanità, ma lo fa senza interrare il filo di speranza che scorre attraverso questa narrazione.

La sua scrittura è potente, onirica, straziante.

Atti Umani trasuda ingiustizia e sdegno, ma anche pietas.

Una lettura necessaria, in alcuni punti forse difficile, che ci ricorda il prezzo della libertà.

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