Il Sottile Gioco Di Parole in F(r)ee – Racconto di Andrea Paolucci

Il Sottile Gioco Di Parole in F(r)ee – Racconto di Andrea Paolucci

F(R)EE è un gioco di parole riuscito tra quello che si crede e quello che si è. Una erre che cambia il senso delle cose tra gratis e a pagamento. Fee e Free, in inglese of course.

Me ne stavo a vivere una banale giornata d’estate. Di quelle che aspetti quel lampo che cambi il normale in qualcosa di speciale. Di quelle che scrolli Facebook alla ricerca di qualcosa di più tra un complotto, una fake news o l’ennesima dimostrazione del narcisismo che ha invaso le nostre vite con l’avvento dei social. Gente che si propone in ogni modo possibile. Per non parlare poi di chi moralizza chi moralizza, intendo? Cioè quelli che leggono le cose degli altri e ci devono mettere il loro monito, per chissà quale motivo più alto degli altri, e sparare a zero con una morale più alta di tutte. Per poi scoprire che fregano internet dal vicino o pagano tasse pari a zero perché per la loro morale è giusto così.

Insomma, me ne stavo lì ad aspettare l’inaspettato quando la lucina dei messaggi privati si accende sul mio Facebook e apro il messaggio così di botto, di getto, in un lampo.

Un messaggio da Alessandro Ugo che non conoscevo e neppure sapevo come avesse fatto a scavalcare la barriera delle richieste di messaggi esterni, quelle che approvi per leggerle, per capirci.

“Ciao Andrea, Piacere di conoscerti. Mi chiamo Alessandro Ugo, regista e produttore italiano residente a Londra. Ti scrivo in quanto ho realizzato un documentario indipendente sull’evoluzione della musica techno tra rave party, club e festival. Il film è forse il primo nella sua categoria a raccogliere esperienze e testimonianze dei più influenti DJ e produttori europei che hanno iniziato questo movimento.

Tra loro Spiral Tribe, Desert Storm, Chris ed Aaron Liberator, Total Resistance, Narkotek, Circkus Alien, Shockraver e molti altri (tra i quali il registra Andrea Zambelli e la prima fotografa di rave inglesi Molly Macindoe) Molti di loro hanno oggi fama internazionale, tuttavia ritrovano ancora le loro radici nella scena underground dei rave party.

Iniziando nelle acid house di Londra con poche decine di persone, il film segue il fenomeno dei rave da un punto di vista musicale e sociale, attraverso il resto d’Europa fra teknival di decine di migliaia di persone, fino ad arrivare anche a club e festival legali. Abbiamo fatto la premiere a dei cinema indipendenti a Bologna a Maggio e a Londra a Giugno, e sono andate molto bene, con un ottimo coinvolgimento da parte del pubblico. Qua negli UK stiamo portando il documentario in varie città, e dopo l’estate ci sarà anche un tour Italiano. Se sei interessato, mi piacerebbe inviarti il link un modo da ricevere un feedback da parte tua, e magari poterti invitare ad un dibattito post-proiezione una volta che siamo in Italia. Intanto ti invio il link ad una landing page dove puoi anche trovare il trailer: https://freeparty.carrd.co/ Per quanto detesti Instagram, sto rilasciando alcune informazioni e brevi estratti dal film a questa pagina: https://www.instagram.com/freeparty.themovie/

Aspetto tue e buona giornata Alessandro”

BOOM! Così dal nulla.

La mente va subito al mio romanzo “Il Rave Perduto” (recensione QUI) e alla possibilità che mi abbia conosciuto così. Anche io conosco quel mondo molto bene perché dopo il mondo raccontato ne Il Rave Perduto, la prima scena techno italiana con sede a Roma grazie a Centro Suono Rave, ho frequentato anche io questo tipo di eventi.

Cosa rispondere?

C’è un detto che per me è un mantra che dice: se non sai perché dire di no, allora dì di sì!

Ecco allora il mio bel codice per una visione privata di un documentario speciale. A me gratifica già prima della visione perché derivante, probabilmente, dall’autorità donatami, all’improvviso e umilmente da Il Rave Perduto.

A proposito, mi viene da pensare: “sempre grazie ad Andrea Prezioso e Luca Cucchetti per avermi tirato dentro alla loro storia technologica. Due super curatori de Il Rave Perduto che hanno fatto la prima storia technologica italiana quando il digitale era ancora un’attitudine e non una realtà conclamata (come oggi per esempio).”

Attacco a vedere F(r)ee senza sapere ancora nulla di Alessandro Ugo perché come coi libri, o coi films, prima li leggo, e guardo, poi m’informo se mi suscitano curiosità.

Vengo avvolto prima di tutto dalla purezza del messaggio di F(r)ee che eleva la musica elettronica al di sopra di ogni possibile fattore influenzante. La società, la politica, la civiltà, i vari credo, il fanatismo e pure il bigottismo mascherato da eccelso. Tutto sotto e al di fuori dell’idea narrativa del documentario.

L’idea è quella di fare capire che a pagamento o gratis sempre party restano e come tali sempre soddisfazioni danno al pubblico presente (e danzante). Sacrilegio! Oddio un festival equiparato a un free party? Stiamo scherzando? No se riportiamo tutto all’idea ancestrale di danza come mezzo di comunicazione tra le persone. Come dice tra l’altro anche il regista Andrea Zambelli all’interno di F(r)ee.

Perché no? Perché sì?

Chiaro che se fosse solo il regista di F(r)ee Alessandro Ugo a sostenere questa tesi, sarebbe un’ardito punto di vista ma tutto scemerebbe lì. E invece come nei migliori colpi di scena dei films, ecco personaggi autorevoli del mondo dei free party che dicono la loro e che non è scontata per niente.

Anzi.

E sto lì che mi spizzo questo documentario con un cuscino in mano come se stessi aspettando il nuovo colpo di scena che riallinea la trama al pensiero collaudato e preesistente che mette in antitesi free party e festival.

E invece, no.

Con la scorrere della trama e del crescere di quel suo conflitto tanto caro al cinema, e pure alla letteratura, i punti di vista diventano sempre più aperti, contrastanti con la fanatica opinione consolidata del free party come unico mezzo orizzontale di aggregazione di ravers, travellers, dancers e giù di lì.

L’opinione di 69DB degli Spiral Tribe è una rigenerante doccia fredda perché anche chi questo mondo l’ha supportata dalle fondamenta, ammette che i cosiddetti ‘festival commerciali’ sono fonte di sostentamento anche per dj e artisti dei free party che però vogliono mantenersi con la musica.

Altrimenti come fai? Se non hai tempo per un lavoro convenzionale per via della produzione musicale e della progettazione degli eventi, come ti mantieni? C’è mammà e papà? Ma fino a quando?

C’è l’illegalità che sta lì, ovviamente, puoi spacciare, rubare al prossimo, insomma trovare il modo di tirare a campare.

Ma prima o poi inesorabile come una pioggia a fine estate arriverà la consapevolezza che tutti hanno bisogno di mangiare e di bere per vivere. E quindi arriva quella piccola parola che la realtà spazza via, anche detta utopia.

F(r)ee instaura un’empatia con lo spettatore proprio quando il conflitto cresce e si mantiene alto grazie ad alcuni irriducibili tra i personaggi storici. Ti tira dentro fino alla fine perché il tenore delle interviste cresce fino a trasformarle in confessioni. Una sorta di Grande Fratello elettronico dove al posto del confessionale c’è la telecamera dell’Alessandro Ugo che con totale apertura mentale si fa raccontare ogni cosa senza giudizi o prevaricazioni dovute a una trama precostituita. No, questo documentario si costruisce da solo. Perché si capisce che molti degli intervistati non aspettavano altro che tirare fuori una verità tanto umana quanto sacrosanta.

Quindi free party o fee party? Free party o festival party? Tutte e due, cazzo! Tutte e due.

Va tutto bene per ballare, lasciarsi andare alla musica e perdere il comune senso ordinario che ci apporta tanto stress. Si può separare mente e consuetudine in entrambi le situazioni.

E pensare che “sta a te decidere chi vuoi essere, sta a te decidere chi vuoi diventare in una notte di festa. Non hai i soldi? Quella sera vai al free party ma ricorda che se sempre non dai soldi a chi organizza i free party, allora addio free party. Altrimenti c’è il festival, costa è vero, a volte tanto è ancora più vero, ma c’è anche una mastodontica resa per il pubblico.

Questo è il passaggio probabilmente più emozionante di F(r)ee, sto quasi per spaccarlo in due il cuscino dalla tensione emotiva che mi trasmette il discorso, mai ascoltato prima, ma tanto pensato da tutti.

E anche io rischio di abbandonarmi all’orgoglio perché se c’è stato un antenato del festival probabilmente è stato il rave raccontato ne Il Rave Perduto, a pagamento, sì, ma completamente fuori dall’ordinario rispetto a quello che veniva offerto al tempo. E se penso alla scena dei free party in Italia è successiva ai party raccontati ne Il Rave Perduto. Quindi dovrei gridare al mondo che il mio periodo è arrivato per primo e che siamo noi i precursori su questi argomenti ma perché?

La musica è la risposta non la gara su chi è arrivato prima, tipo atterraggio sulla Luna con bandierina (sì, americana) annessa e connessa.

E la risposta più efficace me l’ha data lo stesso regista di F(r)ee, Alessandro Ugo, quando al termine della visione del suo documentario ho sentito il bisogno di confrontarmi e congratularmi con lui.

Ognuno ha avuto il suo primo amore musicale, ed elettronico, chiaro che lo osanna come migliore. E qui probabilmente Luca Cucchetti mi direbbe: “sì ma noi siamo arrivati per primi.” Ma questa è un’altra storia, una di quelle romane mai raccontate prima.

Per tutto il resto, la sensazione che ho al termine della chiacchierata con Alessandro Ugo è che tutto è relativo se metti davanti la musica.

Tutto, pure quella legge antirave, tanto chiacchierata da opinione pubblica e ravers, che poi è in realtà la bis di quella dell’occupazione (la trovi QUI). E che a me ricorda la mamma esasperata che mette il figlio in punizione perché non gli racconta che ha combinato tutta la notte prima di tornare a mattina con occhiaie e un sorriso splendente al limite del beffardo.

Lo vedi però che Facebook in realtà è utile a qualcosa? E chi lo beccava F(r)ee e Alessandro Ugo altrimenti? A proposito se vuoi vedere F(r)ee e ancora non l’hai scoperto, lo trovi QUI.

F(R)EE – ALESSANDRO UGO – 2023

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