Riot di Edith Joyce – Recensione

Riot di Edith Joyce – Recensione

Riot. Amore, amicizia, lealtà.

L’Irlanda non è un mondo facile ma è un posto sicuramente speciale. È dove impari presto a pensare a te stesso, è dove impari presto che l’amicizia rappresenta quella difesa impenetrabile che non permette al dolore di insediarsi dalle tue parti. Gli affetti sono la barriera che impedisce alla morte di fare goal nella tua porta.

Derry tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 è una polveriera a cielo aperto. L’Irlanda, quella su a Nord, è un inferno che ti invita a fuggire. È la condanna ad una vita di tormento e sofferenza.

Afferrare di corsa il biglietto di sola andata per la pace è la scelta più facile. Ma non è la scelta di cuore. Lo sanno bene Saoirse, Orla, Cillian e Aidan. Lo sanno bene i ragazzi del Bogside, i ragazzi del quartiere nazionalista repubblicano di Derry.

Derry è la città fortificata, è una contraddizione continua. È divisa a metà dal fiume Foyle e mette in contrapposizione due mondi molto vicini ma terribilmente lontani. Da una parte loro, i fedeli alla mamma Irlanda. Dall’altra, quelli che pensano che il verde, il bianco e l’arancio siano solo colori sbiaditi da disonorare.

La città sta vivendo il momento più difficile della sua storia. Le tensioni stanno distruggendo i corpi e le anime degli abitanti dell’Irlanda del Nord, stanno annientando i sogni di molti giovani.

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Saoirse è cresciuta in fretta, sta crescendo in fretta. La sua esistenza è figlia della strada, viaggia sullo stesso binario dei suoi amici di infanzia. Le corse sotto la pioggia, i giochi per evadere dall’angoscia perenne e quella corazza che permette di difenderti da quello che verrà. O meglio, da quello che già c’è: “A Derry c’era la guerra, e il terrore lo conoscevamo tutti benissimo. L’idea della morte non ci era estranea. Era sempre lì, dietro alla porta. Camminavamo accanto alla morte tutti i giorni e cercavamo solo di pregare più forte che potevamo…”

Ma non è tutto. Ci sono le prime delusioni, i primi amori, le prime volte da adulto. Saoirse e Aidan, Orla e Cillian sono due coppie che si amano, che si stanno giurando fedeltà eterna. Per quanto può valere da queste parti.

E poi ci sono i soldati. C’è l’esercito britannico inviato per sedare gli animi, apparentemente spedito per proteggere la comunità nazionalista dai soprusi dei vicini unionisti. Un altro nemico da fronteggiare: “Avevo mosso i miei primi passi accanto ai carrarmati dei soldati inglesi in uniforme che pattugliavano con i fucili una città dove erano stranieri.”

Il 12 agosto 1969, la battaglia del Bogside. Il 30 gennaio 1972, il Bloody Sunday. Due eventi che fanno da spartiacque per le vite dei quattro ragazzi irlandesi. Chi vorrà evadere a tutti i costi, chi si rifugerà nel vicolo cielo della droga. Chi vorrà combattere per il proprio paese: “Non ci vuole coraggio per sparare a un uomo, è sufficiente la rabbia.”

Lei è sicura, Saoirse ha scelto. Vuole lottare contro la realtà che la circonda e contro le ingiustizie, vuole fare a pugni con i demoni della sua terra. L’esercito repubblicano irlandese è quello che vuole, Patsy la conduce verso il terreno sconosciuto della ribellione.

Ma l’Irlanda è sicuramente un mondo speciale ma non è un posto facile. Puoi essere logorato o puoi resistere, puoi demolire o essere abbattuto.

Questo vale per tutti. In amore, nell’amicizia, nella rivoluzione: “Correvo con il vento che mi soffiava contro, perché ciò che è facile nella mia terra non è mai concesso.”

Riot. Descriverlo in poche righe è complicato, sarebbe riduttivo.

È un romanzo completo, dove puoi specchiarti e riflettere. Puoi sognare, puoi commuoverti, puoi catapultarti in un universo difficile, in un mondo dove per resistere devi necessariamente reagire.

Riot ti fa diventare bambino e puoi adulto, ti trasforma continuamente.

All’autrice Edith Joyce tutti i complimenti possibili.

Era difficile leggere qualcosa di più intenso. Di più vero.

“…ognuno si porta dentro i fantasmi del suo popolo, non importa quanto antichi siano. Quando odi gli inglesi una volta, li odi per sempre.”

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