Recensione di No Pasta No Show – Claudio Trotta

Recensione di No Pasta No Show – Claudio Trotta

No Pasta No Show, una citazione:

“Anche le cene a casa dei miei genitori, in via Pagliano 40 a Milano, sono state davvero leggendarie, quando ancora vivevo lì e già facevo il promoter, con l’ufficio nello stesso palazzo. Mia madre cucinava e serviva abbondanti, fumanti e spettacolari bucatini all’amatriciana a John Martyn, David Bromberg, John Renbourn, Stefan Grossman e Bruce Cockburn, una situazione unica e molto apprezzata da tutti gli artisti. Si scherzava, ci si riempiva la pancia e si consolidavano le relazioni personali, non solo quelle professionali.”

Ed ecco rivelato il motivo del titolo No Pasta No Show, la vivida e coinvolgente autobiografia di Claudio Trotta – milanese classe 1957, promoter e produttore di spettacoli live tra i più importanti e stimati a livello internazionale – che è anche e soprattutto il racconto di un’epoca ed il ritratto di una platea sterminata di artisti.

Autentico appassionato e imprenditore attento, Trotta ci regala i suoi ricordi, circa quaranta anni di carriera trasfusi in aneddoti, segreti, rimpianti, progetti non realizzati e confidenze.

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Trotta arriva dalle radio libere e nel 1979 fonda la Barley Arts – la sua “creatura”, società chiamata così per omaggiare il barley (orzo) ingrediente portante di whisky e birre tanto cari ai migliori artisti folk e country.

Il libro racconta con franchezza – emozioni ed incazzature comprese – la passione di uno che non mai ha temuto di “sporcarsi le mani” e di controllare personalmente e con attenzione maniacale ogni particolare di un tour o di un live.

Le esperienze descritte compongono un autentico mosaico di epoche e generazioni diverse. Ci sono gli show storici ed i grandi festival – come non menzionare “Monsters of Rock” – e, ovviamente, gli artisti, i grandi nomi e i gregari, quelli che fanno elettrizzare le masse e quelli di nicchia.

I fratelli Young, i Kiss e David Bowie, i Cure e Stevie Wonder. Il paisà Frank Zappa, Gil Scott Heron, Van Morrison per i più sofisticati. Quasi tutti i big italiani, ma anche e soprattutto artisti e band di culto importati quasi solo per soddisfazione personale e per la gioia di quei pochi appassionati in grado di apprezzarli.

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I ritratti dei musicisti, ed i correlati ricordi, sono pressoché infiniti. Dal poliedrico Ry Cooder a un live ad altissima gradazione alcolica di John Martyn, dalle follie alla Keith Moon a quelle dei Guns’n’Roses fino all’amico Bruce Springsteen ed alle sue portentose esibizioni a San Siro.

In No Pasta No Show si parla tanto di musica, senza distinzione di generi, ma non solo. Nella sua carriera di promoter Trotta si è occupato e si occupa di cultura nel senso più ampio del termine: musical, produzione di mostre, la promozione di diverse e differenti forme di spettacolo, i food trucks del ‘Festival Streeat’.

Il perché ce lo spiega lui stesso: “Credo nella Bellezza e nel contagioso benessere che scaturisce da essa. Ecco cosa voglio continuare a fare da grande. Voglio contagiare ed essere contagiato dalla Bellezza, voglio sostenerla e promuoverla. Credo che la Bellezza generi felicità, e che la felicità renda il mondo un posto migliore. Il concetto di Bellezza, a mio avviso, racchiude il senso del mio lavoro.”

Per parafrasare Dostoevskij, forse è proprio questa Bellezza – con la B maiuscola – che salverà il mondo.

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